“Abbiamo salvato la città dal fallimento e il 10 gennaio invieremo le risposte ai dieci quesiti che sono stati formulati perché noi il nostro mestiere lo sappiamo svolgere senza se e senza ma”. Questa l’unica frase riferibile dal Sindaco Cateno De Luca, che nel corso dell’ultima diretta social non entra nel merito delle criticità evidenziate dalla Corte dei Conti che ha chiesto chiarimenti sulla gestione delle casse di Palazzo Zanca, ma si è limitato ad insultare i consiglileri comunali aprendo la strada a quanti negli ultimi anni avevano criticato alcune scelte, in particolare sulle partecipate.
La Corte dei Conti, sezione controllo di Palermo, con un documento di ben 81 pagine, dopo un articolato esame tecnico sul piano di riequilibrio proposto dal comune di Messina non ha ancora espresso il proprio verdetto, evidenziando “la presenza di numerose criticità e perplessità in ordine alle quali l’ente, in fase di contraddittorio, potrà offrire il proprio contributo”.
In particolare i rilievi riguardano i debiti fuori bilancio e il nodo delle riscossioni.
Come ben sintetizza la Gazzetta del Sud, sono 10 i punti a cui il Comune di Messina dovrà fornire chiarimenti:
I dieci punti
Il primo è relativo «alle difficoltà nelle riscossioni, il cui miglioramento, se si intende perseguire un effettivo riequilibrio finanziario, dovrà necessariamente riguardare la totalità delle entrate proprie e non solo lo specifico segmento del contrasto all’evasione valorizzato nel piano». Secondo: «La scarsa attendibilità delle relative previsioni», rispetto «all’andamento rilevato». In altri termini, la situazione attuale rende “azzardate” le previsioni inserite nel piano per i prossimi anni. La Corte, inoltre, solleva «dubbi sulla congruità della parte accantonata del risultato di amministrazione» e «perplessità in merito alla parte vincolata». Altro punto: viene definito «insoddisfacente il quadro informativo riguardante gli organismi partecipati e l’eventuale presenza di oneri latenti dalle stesse derivanti». Quindi viene evidenziata «l’esigenza di chiarire gli aspetti contrastanti e lacunosi dell’evoluzione dei debiti fuori bilancio e della congruità degli accantonamenti finalizzati a fronteggiare le passività potenziali eventualmente derivanti dal contenzioso in atto».
E si arriva al settimo punto: è necessario «documentare il dichiarato conseguimento di tutti gli obiettivi di risanamento relativi alla diminuzione delle spese correnti, mediante il raffronto fra gli specifici capitoli del bilancio dell’esercizio di riferimento (2017) e dei capitoli dei rendiconti d’interesse (esercizi 2019-2020)». Ulteriori «perplessità» vengono sollevate «sulle modalità di quantificazione degli obiettivi annuali di contrazione della spesa per il personale, che non appaiono attendibili». Chiarimenti vengono chiesti, infine, sulla «approvazione del rendiconto 2020, non pervenuto» (è in esame in questi giorni in commissione Bilancio e poi in consiglio comunale) e sulla «effettiva sostenibilità del piano», relativamente a tutte le osservazioni contenute nel nuovo provvedimento (corposo, sono 81 pagine) sulla «massa passiva effettivamente residua», sulla «efficacia delle correlate misure» e sulla «attendibilità delle relative proiezioni».
Un risanamento… postdatato
Entrando nel dettaglio di alcune delle osservazioni, la Corte dei Conti evidenzia: «Si evince che, in diversi casi, il peso delle singole voci è spostato a favore degli esercizi più lontani». Inoltre «i debiti fuori bilancio sembrerebbero dover essere ripianati entro il 2028; tuttavia, in realtà, tali previsioni appaiono riferite al raggiungimento di accordi con i creditori e non al conseguimento dell’obiettivo del loro effettivo riconoscimento e pagamento». Quello di Palazzo Zanca, in sostanza, appare essere un risanamento dei conti “postdatato”: «Complessivamente – si legge nel documento della Corte dei Conti – emerge un incremento delle passività da ripianare nel quinquennio 2024-2028 (89,8 milioni) ed in quello successivo (97,2 milioni)». E «per quanto riguarda le risorse, lo slittamento temporale del loro reperimento riguarda le entrate relative al recupero dell’evasione tributarie e la diminuzione delle spese per mutui». In altre parole, il Comune punta a recuperare 212,7 milioni nel primo quinquennio e 280,7 milioni «nei restanti periodi». Per i debiti fuori bilancio, invece, «se da una parte deve darsi atto dell’impegno profuso dall’ente, dall’altra non può sottacersi la presenza di lacune e incongruenze nella documentazione trasmessa, tali da rendere necessari ulteriori e documentati chiarimenti».
Il nodo delle riscossioni
È uno dei temi centrali, per la Corte. «Sebbene le criticità nella riscossione delle entrate risultino gravi, persistenti e diffuse – si legge -, il piano si concentra solo su uno specifico segmento. L’unica misura prevista nel piano che fa leva sull’incremento delle entrate correnti, infatti, consiste nel contrasto all’evasione tributaria»: un gettito di quasi 90 milioni tra il 2019 e il 2033. Ma se gli accertamenti per il contrasto all’evasione da Tarsu e Tares, nell’ultimo biennio, «sono aumentati fino a 4 milioni», le riscossioni «non hanno beneficiato dello stesso andamento, finendo per assottigliarsi nel 2020». Ecco perché, secondo i magistrati, «le ottimistiche previsioni contenute nel piano in riferimento agli accertamenti futuri non appaiono del tutto giustificate; non si riscontra, inoltre, la predisposizione di adeguati meccanismi di salvaguardia né di specifiche e adeguate coperture dei rischi di inesigibilità che, integrando il fondo rischi, possano attutire il probabile mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel piano». Infine «resta da comprendere lo stato di perfezionamento delle “procedure per la gestione informatica della cosiddetta Banca Dati Unica”, alla quale il Comune riconnette il compito “di controllo dei fenomeni elusivi”, eventualmente sovvertendo il trend fino ad ora registrato».