di Martina Galletta – Il 25 novembre si è celebrata la Giornata Internazionale contro violenza sulle donne, una giornata per la consapevolezza e che invita tutti a lottare, ogni giorno, per l’eliminazione di un fenomeno subdolo e troppo spesso spaventosamente silenzioso. È un male che si alimenta dietro una cultura sbagliata, sbilanciata, cieca, che giustifica comportamenti definendoli trascurabili; la realtà dei fatti è che, la violenza sulle donne, nasce proprio da quei gesti latenti di ogni giorno ma volti a distruggere piano e inesorabilmente l’identità e la volontà di una donna. Comportamenti possessivi e parole come “Sei mia” che, travestite da sentimenti, nascondono una mentalità violenta e maschilista.
Da questo nasce la campagna “Mai dire sei mia” di Annamaria Spina, oggi scrittrice, attrice ma soprattutto testimone.
Una donna forte, determinata, a tratti severa nei giudizi; una donna che non ama per nulla il termine “femminicidio” che considera discriminante, moralistico e persino sessista dal momento che non esiste il “maschilicidio”.
Ma soprattutto “E’ necessario morire per ottenere davvero giustizia?”, è la domanda che più la spinge a farsi una tra le portavoci di questa lotta.
Non si può parlare del tema, solo quando è la cronaca nera ad aprire i tavoli di discussione mediatica. Non è all’atto che una donna muore, quando il mondo intero perde per l’ennesima volta una battaglia, che si può parlare di vincere una guerra.
Sono quasi trent’anni che Annamaria propaga senza sosta il suo messaggio nelle scuole, presso convegni, piazze, eventi, palestre, seminari e tavole rotonde per raccontare di sé, di ciò che quasi trent’anni fa le accadde.
Quasi trent’anni, anni che Annamaria ha vissuto di corsa, mai ferma, mai doma, vivendo la sua vita come una mission.
Ci sono stati nel frattempo il Premio Livatino, il Premio Giovanni Paolo II, tante conferenze, la stampa internazionale che si è occupata di lei e della sua storia, la pièce teatrale “Sei mia” diventata pure un cortometraggio presentato al Festival di Taormina nel 2019.
Adesso è la volta della campagna “Mai dire sei mia”, avviata da Città Nuova e sostenuta dal Vaticano, di cui si è discusso a Taormina, il 25 novembre al Palazzo dei Duchi di Santo Stefano, innanzi un parterre di altissime personalità della politica, della cultura e dell’imprenditoria.
“Alla fine del 2020 – ricorda Annamaria – sono stata contattata da Candela Copparoni, giornalista spagnola tra le firme di punta della rivista “Città Nuova”. Con lei e con il gruppo editoriale al quale fa capo la rivista abbiamo condiviso questa campagna internazionale, per invitare donne e uomini di tutto il mondo a metterci la faccia, scrivendo in un cartello “Mai dire sei mia” e pubblicandolo sui social in tutte le lingue del mondo”.
Ma facciamo un passo indietro, per tornare a quella metaforica boa che Annamaria Spina si trovò allora a girare, a superare ma avrebbe cambiato la direzione della sua vita.
Una sera del 1993, quando era una ragazzina, Annamaria uscì di casa per incontrare quello che allora era da qualche mese il suo ragazzo.
Era un ragazzo di una gelosia malata, un ragazzo possessivo, ossessivo, incline alla violenza.
Annamaria aveva impiegato pochissimo a capire che non le piaceva e che doveva lasciarlo. Proprio di questo dovevano parlare quella sera. E doveva essere – lei aveva deciso – l’ultima volta che si sarebbero visti.
Il chiarimento degenerò. Furono calci, pugni, minacce, insulti.
Lei piccola, inerme, pregava. E fu pregando che vide una luce, una speranza, la salvezza: gli disse che sì, lo amava e lo avrebbe sposato.
Fu così, fu per questo che lui si fermò e decise di portarla in ospedale, senza tuttavia mai smettere di minacciarla.
Sanate le ferite sul corpo restarono quelle più profonde, dolenti, sempre aperte nell’anima. Annamaria decise che le avrebbe curate parlando, scrivendo, raccontando la sua storia e facendone un monito da condividere con la società tutta.
La teologia del buon esempio, della testimonianza contro le tenebre della rassegnazione e della paura.
Una campagna di successo e un progetto forse ambizioso ma che è moralmente doveroso condividere e sostenere.