di Domenico Mazza – In questi vent’anni di regime democratico, Kabul è diventata una città stabile, lontana da un fronte che vedeva da anni l’Afganistan meridionale in mano ai talebani in lotta per la supremazia. È stato un processo lungo, che ha visto la nascita di baraccopoli e l’esplosione di numerose autobombe a partire dal 2004, ma fino a qualche giorno fa Kabul era una capitale, nonostante lo sperpero generale di miliardi di dollari, al centro di una nuova fase di prosperità culturale, economica e sociale: sono sorti importanti centri commerciali sul modello di Ryad, scuole, università (la Statale e il Politecnico), grandi strade e autostrade, nuovi palazzi del potere. Ovviamente, è una prosperità che va contestualizzata nel panorama bellico di cui è protagonista la Nazione. Potremmo quasi paragonarla alla Milano del 1943-45 che beneficiava dell’economia di guerra del Reich, che aveva una borghesia ancora vitale e produttiva nonostante i bombardamenti e i rastrellamenti.
I “Newtaliban” sanno bene che non è più la vecchia Kabul e promettono pacificazione e aperture, una su tutte la nomina di alcune donne nella nuova compagine governativa. Nelle prossime settimane sapremo se questa nuova versione 2.0 degli studenti del Corano sia da considerare affidabile, ma una cosa rimane certa: la guerra civile non si è conclusa. Anzi, continua su nuovi fronti come quello ricostituito dell’Alleanza del Nord guidata da Ahmad Massoud, figlio del leggendario Ahmad “Shah” Massoud, il Leone del Panjshir, caduto vittima di un attentato talebano pochi giorni prima degli attentati alle Torri Gemelle e al Pentagono.
A fuggire è la nuova Kabul, quella dei giovani che poco o nulla ricordano del vecchio regime talebano, che sono nati dopo la caduta di Kabul nel 2001. Il governo del Mullah Omar è per loro una storia lontana e terribile, tramandata dai racconti dei parenti e amici. L’Aeroporto internazionale di Kabul si è quindi trasformato in uno dei tanti gironi infernali immaginati da Dante nella sua Commedia. Il terrore, nato da quei racconti, ha portato centinaia di persone a raggiungere la pista e provare una via di fuga da un destino funesto e con un’unica certezza, quella di dimenticare Kabul.