Si è riunita oggi presso l’Aula Consiliare del Comune di Messina la VII Commissione Permanente, presieduta dal Consigliere comunale Placido Bramanti. Tema dell’appuntamento odierno la celebrazione della “Giornata Mondiale del Malato” e il relativo contributo delle associazioni a Messina. Hanno preso parte, infatti, all’incontro i rappresentanti di Croce Rossa e Unitalsi e il Direttore della Caritas Diocesana Don Antonino Basile.
“A partire dall’11 febbraio 1993, – evidenzia il Presidente Bramanti – la memoria liturgica della Madonna di Lourdes ha assunto anche il carattere di ‘momento speciale di preghiera e di condivisione, di offerta della sofferenza’. A Papa Giovanni Paolo II era stata diagnosticata la malattia di Parkinson già nel 1991, la sua condizione di malato è stata divulgata solo più tardi ed è significativo che abbia deciso di creare una Giornata mondiale del malato, un solo anno dopo la diagnosi. La Giornata mondiale del malato rappresenta un’occasione di riflessione sulla fragilità umana, su quanto diventiamo poveri quando veniamo privati del nostro bene più grande, la salute.
Ma anche sulla forza interiore che possediamo e che ci rende capaci di vivere la malattia come un’opportunità cristiana e umana. Un servizio che si esplica offrendo al paziente le migliori terapie oggi disponibili e nel prendersi cura della globalità della persona dal punto di vista medico, psicologico e spirituale. In modo particolare quando nessuna cura è più efficace. Determinante il ruolo degli operatori sanitari chiamati ad essere Samaritani, perché è nel prendersi cura del prossimo più fragile che si realizza in pienezza la nostra umanità. In Italia sono circa 2 milioni e 300 mila le famiglie nelle quali vive almeno una persona con limitazioni gravi. Per assistere un familiare malato, il 32,4% delle famiglie riceve sostegno da reti informali. Si tratta di una percentuale quasi doppia rispetto al totale delle famiglie (16,8%). Le famiglie, che assistono un malato, un anziano o un disabile, fanno fatica a conciliare la carriera lavorativa e l’attività di cura: solo il 24,5% ha almeno un componente della famiglia in una posizione apicale o intermedia nella propria attività lavorativa (nel resto delle famiglie è il 30%). Le condizioni economiche complessive sono peggiori rispetto a quelle del resto delle famiglie: il loro reddito medio annuo equivalente medio è di 17.476 euro inferiore del 7,8% a quello nazionale. La Sicilia – prosegue Bramanti – è la regione italiana con il maggior numero di disabili gravissimi, sono esattamente 10.753. Numeri che, se confrontati con le altre regioni, appaiono di gran lunga superiori. In Puglia, ad esempio, sono 5 mila, in Veneto 6 mila, in Campania circa 1.600, nel Lazio 3 mila e in Lombardia 6.500. Dal rapporto tra disabili gravissimi e l’intera popolazione di residenti, esce questo quadro: in Sicilia l’incidenza è dello 0,21%, in Lombardia dello 0,06%, nel Lazio dello 0,05% e in Campania dello 0,02%.
A Messina sono circa 1000 i soggetti disabili presenti; dato che, anche se fortemente indicativo, non appare esaustivo di una realtà estremamente difficile e ben delineata in maniera definita. Il numero indicato infatti tiene conto dei soggetti che, in varia maniera, ricevono assistenza dalle varie strutture a questo predisposte, siano esse pubbliche o private. Sono essenzialmente tre i canali attraverso i quali in città si concretizza l’assistenza: il Comune, che opera sia attraverso il braccio operativo dell’istituzione dei servizi sociali che attraverso le cooperative; il privato sociale, che si muove tramite le cooperative sociali e le varie organizzazioni inquadrabili nel «III settore» e l’associazionismo volontario, quell’universo fatto di associazioni e gruppi organizzati che decidono di dedicare parte del loro tempo ai più sfortunati.
La quasi totalità ha riscontrato difficoltà durante l’emergenza sanitaria (89,3%); in particolare, 8 cittadini su 10 hanno incontrato ostacoli nel prenotare visite ed esami di controllo; di essi più di 1 su 2 (55,26%) ha dichiarato di essere ricorso al privato a causa delle difficoltà legate all’accesso alle strutture pubbliche. Inoltre, oltre 1 cittadino su 3 ha segnalato difficoltà con l’assistenza domiciliare legata alla continuità terapeutica (37,3%) o all’assistenza specialistica (31,05%). Di particolare rilievo poi le difficoltà di tipo sociale legate alla gestione familiare: il 51,5% ha avuto difficoltà a recarsi presso strutture ospedaliere per paura del contagio proprio e dei propri familiari; il 23,16% disorientamento causato dall’informazione poco chiara; il 21,5% difficoltà nella riprogrammazione di prestazioni da svolgere presso strutture ospedaliere, per esempio terapie infusionali; il 16,32% ostacoli legati alla mancanza di tutela come lavoratore fragile; il 15,26% difficoltà a gestire il dolore; il 14,74% mancanza di sostegno psicologico; l’8,95% difficoltà nella didattica a distanza in caso di paziente minore. Infine, i cittadini facenti parte delle associazioni intervistate, in caso di dubbi o richieste di chiarimenti base relativi all’assistenza durante il periodo del lockdown, si sono rivolti innanzitutto ai dottori di medicina generale e ai pediatri di libera scelta (53,16% di persone si sono indirizzati a loro), seguiti dagli specialisti (37,37%) e dalle associazioni di pazienti di riferimento (31,58%), mentre uno su quattro (25,79%) si è rivolto a familiari o amici.
E’ importante sottolineare come una patologia trascurata determina l’aggravamento delle condizioni e impone la necessità di interventi successivi di portata maggiore rispetto a quelli che si possono adottare e mettere in atto nei tempi giusti. La pandemia ha fatto emergere in tutto il loro impatto criticità già preesistenti, in particolare riguardo all’accesso alle prestazioni e all’assistenza territoriale, due ambiti che più di ogni altro hanno risentito di mancanza di visione, disinvestimento, continui tagli di risorse economiche e di personale.
La necessità di arginare il contagio da Covid 19 ha introdotto misure stringenti per tutti, volontari e associazioni di volontariato compresi. A maggior ragione ancora oggi, che emergono le problematiche legate ai lunghi periodi di solitudine, le persone più fragili non possono essere abbandonate a sé stesse. Il mio pensiero è rivolto in particolar modo agli anziani e alle persone con disabilità, e a coloro che non hanno una casa. Un ruolo fondamentale spetta proprio all’attività di volontariato connessa all’emergenza che deve potersi svolgere in modo responsabile e in piena sicurezza per tutti. Nessuno deve correre rischi. I Comuni devono rappresentare il punto essenziale di coordinamento delle attività di volontariato, indicando i bisogni e le priorità di intervento. I Centri Servizi per il volontariato contribuiscono alla ricerca e formazione di nuovi volontari e possono svolgere anche azioni di impulso e coordinamento di iniziative specifiche in accordo con i Comuni. L’importanza delle associazioni – conclude il Presidente – è venuta in rilievo soprattutto perché sono più vicini ai bisognosi e meglio possono coordinarsi con il Comune per ogni attività e, in ragione della loro prossimità, possono fare segnalazioni sui bisogni e particolari fragilità ai servizi sociali”.