di Giuseppe Campione – Ricordo quando incontrai il presidente Mattarella alcuni anni fa alla celebrazione dei 150 anni della Società Geografica, a Roma, a un passo dal Colosseo. Era la prima volta che mi riceveva da presidente e assieme a me c’erano colleghi italiani e stranieri. In quell’occasione accennai a una storia dell’Italia repubblicana, curata da Silvio Lanaro, che ci invitava non a proclami di semplice antifascismo quanto invece a spazzare via quel tanto di fascismo che purtroppo era abitato in molti. Già, non diceva Gobetti che questa era stata una sorta di autobiografia del paese? E io ero commosso, perché avevo conosciuto Sergio Mattarella da tempi lontani, sì, all’inizio degli anni ottanta, e che prima ancora avevo conosciuto il carissimo Piersanti.
Con Piersanti, quando ero stato a Palermo con l’incarico di responsabile dei giovani siciliani della DC, avevamo parlato di tutto, e soprattutto della nostra condizione siciliana e di quello che avrebbe potuto essere il nostro ruolo in futuro. Poi a Piersanti fui sempre vicino e parlammo anche a lungo di Aldo Moro, di quello che ci aveva insegnato.
Qualche giorno prima che lo uccidessero, gli telefonai, come spesso mi accadeva di fare come presidente della provincia di Messina. E gli chiesi se poteva accelerare i fondi regionali per un’alluvione che aveva colpito violentemente una parte del nostro territorio. Lui mi disse “senz’altro, ci vedremo il 7, un abbraccio, ti aspetto”.
Il cinque gennaio del 1980 tornando a casa con molti amici avevo letto sul Giornale di Sicilia un suo articolo bellissimo, pieno di una voglia di fare e di una voglia soprattutto di superare le difficoltà di una condizione anche difficilissima per motivi mafiosi.
Poi il 6 un cronista messinese mi diede la tragica notizia dell’uccisione di Piersanti a Palermo. Io restai esterrefatto, piansi tutto il giorno e poi concordai con il sindaco di Messina una riunione congiunta provincia e comune per ricordare la figura di Piersanti e parlammo a lungo ed erano molti i consiglieri che piansero quella volta.
Poi saremmo andati a Palermo, l’indomani, e arrivammo in chiesa e ci fermammo lì, davanti alla bara, e aspettammo che arrivassero anche gli altri.
E io ricordavo soprattutto quel giorno che il capo della sua segreteria Rino La Placa, oggi presidente degli ex parlamentari in Sicilia, mi aveva introdotto nello studio di Piersanti a Palazzo d’Orleans e ciò che avevo letto dietro il suo scrittoio. Era un pensiero di Moro, che diceva: “Questo Paese non si salverà, la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera, se in Italia non nascerà un nuovo senso del dovere”.