Il magistrato Sebastiano Ardita ricorda Pippo Fava, “simbolo della città che non si arrende”

In prima linea nella lotta alla mafia, anche nel nome di Pippo Fava. Il magistrato Sebastiano Ardita, oggi membro del Csm, ricorda il giornalista ucciso da cosa nostra che di quella “Catania bene” oggetto di importanti inchieste, aveva parlato tanto da pagarne il prezzo altissimo della vita.

“Il 5 gennaio del 1984 con cinque proiettili sparati alla nuca gli uomini di cosa nostra misero fine alla esistenza di Giuseppe Fava – ricorda Ardita sulla sua seguita pagina social – All’omicidio di un uomo che rappresentava uno dei pochi ostacoli alla diffusione del potere mafioso in città e in tutti i gangli delle istituzioni, segui’ un’indagine con tentativi di depistaggio e complicità istituzionali.

Si indago’ sulla sua vita privata, si cerco’ il movente dell’omicidio tra le carte de I Siciliani, la rivista che aveva fondato e diretto. Una classe dirigente malata e pervasa dalla contaminazione mafiosa provo’ in tutti i modi di allontanare dalla pubblica opinione l’idea che fosse morto a causa delle sue denunce.

Poco più di un anno dopo dalla sua morte in una indagine antimafia della procura di Torino a Catania vennero arrestati alcuni vertici delle forze di polizia e alti esponenti del potere giudiziario. Poco tempo dopo i vertici della procura della Repubblica vennero allontanati per incompatibilità ambientale. Fu una nemesi generata da investigazioni casuali che investì in pieno il sistema di potere istituzionale che lui aveva denunciato.

Oggi Giuseppe Fava è un simbolo della città che non si arrende. Il suo carisma di intellettuale, la sua storia e i suoi scritti sono tuttora una chiave di lettura dei mali presenti nella società e nelle istituzioni di questa terra”. 

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