Piercamillo Davigo non e’ piu’ un consigliere del Csm. Il plenum di Palazzo dei marescialli ha decretato la sua decadenza. Motivo: domani l’ex dottor Sottile del pool Mani pulite compie 70 anni e va in pensione dalla magistratura. Una condizione incompatibile con la carica di togato del Csm, secondo la maggioranza dei consiglieri. Ma la decisione ha spaccato l’assemblea.
Nino Di Matteo, pm antimafia eletto un anno fa con il sostegno della corrente di Davigo, si schiera per la decadenza. «Per non violare principi costituzionali fondamentali – ha detto – con difficoltà umana e in piena coscienza voto a favore della proposta di decadenza».
Il consigliere togato del Csm, Piercamillo Davigo, da domani dunque andrà in pensione e non potrà più continuare a far parte del Consiglio Superiore della Magistratura. Il Plenum del Csm ha approvato a maggioranza (13 voti a favore, 6 contrari, 5 astenuti) una pratica della Commissione per la verifica dei titoli di Palazzo dei Marescialli sulla permanenza o meno al Csm dell’ex magistrato del pool Mani Pulite che oggi era assente.
Il Plenum ha approvato la delibera – relatrice Loredana Miccichè (MI) – che stabilisce la “cessazione di Piercamillo Davigo dalla carica di membro togato del Consiglio Superiore della Magistratura a seguito di collocamento a riposo per raggiunti limiti di età, a partire dal 20 ottobre 2020” quando “cesserà di fare parte dell’ordine giudiziario”.
Nel corso dell’audizione in Commissione, nei giorni scorsi, Davigo, a favore della sua permanenza al Csm, ha sottolineato come l’articolo 104 della Costituzione preveda “solamente che i componenti del Csm durano in carica 4 anni” e che, se per raggiunti limiti di età non si riesce a completare il quadriennio della consiliatura, allora non si dovrebbe nemmeno consentirne l’eleggibilità. Inoltre, Davigo ha messo in evidenza come la legge istitutiva del Csm non preveda fra le cause di cessazione il collocamento a riposo.
A sostegno dell’uscita del leader di Autonomia e Indipendenza dal Csm è arrivato anche un parere dell’Avvocatura dello Stato, chiesto dalla Commissione, che ha rilevato come l’appartenere all’ordine giudiziario “costituisca condizione sempre essenziale ed imprescindibile” per l’esercizio dell’autogoverno. Non solo ma appare “scontato” che la perdita dello “status di magistrato”, comportando il venir meno del presupposto stesso della partecipazione all’autogoverno, “è ostativa” alla prosecuzione dell’esercizio delle relative funzioni al Csm.Inoltre, l’Avvocatura ha anche messo in evidenza come la durata dei 4 anni, stabilita dall’art. 104 della Costituzione, non si riferisca ai singoli componenti ma all’organo nel suo complesso.