Grande commozione in città per la morte dell’attrice e regista Donatella Venuti, che a un’attività artistica molto intensa, cominciata nel 1974, ha unito anche quella didattica, dirigendo laboratori teatrali e corsi di recitazione.
Ha anche organizzato spettacoli classici e messo in scena numerose opere di sua produzione. Tra le ultime rappresentazioni “Cuerpo de alma” al teatro 3 Mestieri per il ciclo del “teatro all’aperto” e “Caterina”, una storia familiare tragica con tinte grottesche. In precedenza per il teatro di Morman aveva scritto e interpretato “Frida Kahlo. Io sono una donna d’acqua”, un omaggio alla pittrice simbolo di una femminilità trasgressiva.
La ricordiamo con una recensione di Cuerpo de Alma, il veleno dell’amore pubblicata sul nostro giornale nel 2018:
Di Clarissa Comunale – La lotta dei sentimenti, in famiglia, come nel rapporto di coppia. È il linguaggio sensibile e variegato di Donatella Venuti ad affascinare il pubblico all’ultimo spettacolo teatrale della rassegna estiva del Teatro dei 3 Mestieri, Cuerpo de Alma, con il figlio Arcadio Lombardo alla chitarra.
Un monologo, che si apre attingendo al dialogo shakespeariano per eccellenza tra Romeo e Giulietta, svela un amore che non perdona, la cui storia condanna alla morte e all’autodistruzione. Il veleno che inietta l’amore va contro le lancette del tempo ed il sentimento diventa disperato, cieco, cristallizzato in una bellezza eterna, quella stessa bellezza che si ferma sul volto di Giulietta una volta che il veleno dell’amore ha preso il completo possesso del suo corpo e della sua anima.
Venuti riporta le origini messinesi di Shakespeare nelle parole di Giulietta che, con trascinante ironia, incanta il suo Romeo al quale svela un sentimento semplice, terreno e puro. In realtà, infatti, Giulietta si chiama Santa, come la nonna, veronese soltanto dalla seconda generazione. E anche se non comprende le parole di Romeo, che confonde Shakespeare a Dante ed Euripide, la genuinità di Giulietta ci riporta alla semplicità dei sentimenti, che non ammettono ghetti.
Ma è nella parte dedicata all’amore materno che Donatella Venuti mette le mani in pasta dentro la sua anima. Il conflitto materno ai tempi della giovinezza dedita alla rivoluzione sessuale degli anni ’60, la scelta di non essere la “figlia perfetta”, con il futuro già scritto, ma la libertà di seguire ciò che il corpo e l’anima le dettavano e la portavano ad avvicinarsi al mondo del teatro, sono i segnali di un amore che ha mille sfaccettature e che è così lontano dall’amore odierno.
La lotta all’emancipazione femminile, i diritti, dal divorzio all’aborto, sembrano essere state battaglie senza sbocco, precoce fallimento umano, per un mondo attuale in cui i rapporti umani, etero e omosessuali, sono ridotti all’estrema banalizzazione, spudorati ed estremamente estetizzati. Nel momento in cui è la stessa Venuti a trovarsi a fare la madre, nessuna rivoluzione è realmente convincente se non quella con se stessi. Essere guida, strada da seguire, cammino da mantenere sono gli ingredienti della figura della madre che, in ogni caso ed in ogni epoca, risulta essere il modello in negativo, tutto ciò che una figlia desidera non voler mai diventare, perché l’amore filiale è odio, come lo stesso Shakespeare insegna nel suo Macbeth.
Quella giovane donna, troppo “cervellotica” per una madre troppo esigente, farà poi i conti con una figlia che inaspettatamente aspetta un bambino e che ancora più inaspettatamente, e senza alcun consulto, sceglie di non avere più in grembo alcuna vita umana. La memoria, così, si lega alla vita, segnata da una melodia unica, irripetibile, che racconta la storia del proprio corpo, i segreti, gli incantesimi. È un’avventura che non ha mai fine quella con i sentimenti, quei sentimenti che nascono, muoiono, crescono, ritornano e a volte rimangono indelebili dentro di noi.
Amare per Donatella Venuti è lotta nel momento in cui, kantianamente, è morale dentro se stessi, morale che cambia se stessi. Rigenera, domanda, dubita, medita. Si arresta e riprende il suo cammino, vigila ed indietreggia.