di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Matteo
In quel tempo, Gesù disse ai suoi apostoli:
«Chi ama padre o madre più di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.
Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà.
Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato.
Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
È quel bicchiere d’acqua che cambia l’intera esistenza. Il dono totale della vita non è un gesto eroico, estremo, straordinario, ma la sommatoria di tanti bicchieri di acqua fresca offerti con amore. Chi sceglie di seguire Gesù deve abbandonare la logica del discepolo della domenica: del discepolo che si abitua, che crede che per essere cristiani bisogna solo fare alcune cose o partecipare da spettatore smemorato a qualche celebrazione che non riuscirà a penetrare l’udito per arrivare al cuore e cambiarlo. Gesù non vuole discepoli che si fermano ad una identità socio culturale del cristianesimo, ma vuole uomini e donne capaci di sapersi innamorare, di lasciarsi sedurre, capaci di abbandonarsi a Lui. Chiede ad ognuno di noi di amarlo superando ogni affetto ogni difficoltà… ogni logica umana. Prendere la propria croce e seguirlo non ha nulla a che vedere con le sofferenze quotidiane, “ non si tratta di sopportare le vicissitudini avverse della vita ma condividere il Suo progetto affinché penetri la storia dell’umanità attraverso la nostra esperienza e il nostro dono. La croce più che essere il luogo del patimento e della sofferenza è simbolo di amore incondizionato. Prendere la propria croce ha il significato di amare incondizionatamente”( Cantini)
Prendere la croce quindi è il superamento della logica umana che ti impedisce la relazione con chi è messo da parte perché è diverso, perché la pensa diversamente da noi… Perdere la vita non significa affrontare il martirio, o farsi esplodere per Dio, o fare crociate inutili che creano separazioni e alzano muri. Perdere la vita per Cristo significa saperla investire in gesti di umanità che sono la somma di tanti bicchieri d’acqua.
Ermes Ronchi in una sua riflessione di qualche anno fa scriveva: “Il dare tutta la vita o anche solo una piccola cosa, la croce e il bicchiere d’acqua sono i due estremi di uno stesso movimento: dare qualcosa, un po’, tutto, perché nel Vangelo il verbo amare si traduce sempre con il verbo dare: Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio”
Croce non significa sofferenza ma salvezza, significa superamento di ciò che è giudicato ignominia, scandalo, debolezza, vergogna… significa dono. Se il discepolo di Cristo, se ogni battezzato non entra nella logica del dono non può dirsi cristiano.
Quel bicchiere d’acqua è la relazione che quotidianamente instauriamo, costruiamo con il fratello o la sorella che incontriamo nella nostra vita, vale a dire l’acqua buona per le giornate faticose, l’acqua della custodia, dell’accoglienza, della solidarietà… l’Acqua Viva per chi ha sete. Un’acqua ricavata alla sorgente della Parola ascoltata, meditata, vissuta. Un’acqua impreziosita dalla fatica, dalla cura, dalla attenzione. È un’acqua che sgorga da un cuore ascoltante e orante.
È attraverso i piccoli gesti che apparentemente sembrano insignificanti, che pur richiedendo la fatica quotidiana noi cresciamo nella relazione spostando lo sguardo spesso rivolto su noi verso gli altri, considerandoli un dono. Sono i piccoli gesti come un po’ di vino e un pezzo di pane che permettono di comprendere che un bicchiere d’acqua mi può e ti può cambiare la vita… ovviamente in meglio!