di Giuseppe Loteta – Nella prima metà degli anni Cinquanta del secolo scorso si intrecciano in Europa sogni, disillusioni, progetti concreti. Un decennio prima, confinati dai tribunali fascisti nell’isola di Ventotene, Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni avevano stilato un manifesto “per un’Europa libera e unita”. E, una volta conquistata la pace, gli Stati che si erano massacrati in due guerre nell’ultimo trentennio raccolgono la sfida del “Manifesto di Ventotene” e pongono le basi di un’integrazione economica e politica dell’Europa. Sono quelle nazioni che hanno pagato con milioni di morti e distruzioni immani le follie espansionistiche e razzistiche di Hitler e di Mussolini: Italia, Francia, Germania, Belgio, Olanda e Lussemburgo.
Li guidano giganti della politica: l’italiano Alcide De Gasperi, il tedesco Konrad Adenauer, i francesi Jean Monnet e Robert Schuman. Il primo passo è la creazione, il 18 aprile del 1951, della CECA, la Comunità Europea del carbone e dell’acciaio. Con un obiettivo limitato, mettere in comune le produzioni carbosiderurgiche dei sei paesi, ma con la consapevolezza di avere aperto la strada a successive forme di integrazione. Sembrava una strada senza ostacoli, ma non era così.
Il secondo passo sarebbe dovuta essere la costituzione di un esercito europeo. Lontani ormai i tempi della collaborazione bellica dei paesi occidentali con l’Unione sovietica, la guerra di Corea, la divisione del mondo in due blocchi, il timore (allora concreto) di un’invasione sovietica del vecchio continente, spingono per la creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED). Ma non è una passeggiata. Il dibattito tra i “Sei” va avanti per anni. L’ideatore del progetto è il francese Jean Monnet, ma poi è proprio la Francia ad opporvisi per il timore che la creazione di un esercito comune aprisse la strada a un riarmo incontrollato della Germania. Il 30 agosto 1954 l’Assemblea nazionale francese respinge definitivamente il trattato istitutivo della CED.
A questo punto sembrava proprio che i “Sei” avessero perso la speranza di raccogliere e far fruttare l’eredità di Spinelli, Rossi e Colorni. Per fortuna non era così. E un anno dopo la sconfitta della CED rinascono le prospettive di un’integrazione. Dove? A Messina. Perché Messina? Questa città nei primi anni Cinquanta è un po’ l’emblema della ricostruzione postbellica, della voglia di vivere, di aprire una nuova stagione. Come era già avvenuto dopo il terribile sisma del 1908, i messinesi si sono rimboccati le maniche, hanno ricostruito le case e le strade distrutte dalle bombe americane e hanno ridato vita a una comunità ricca di fervore culturale, di sviluppo socio-economico e urbanistico.
Nel 1955 Messina è la città che ha organizzato due anni prima una grandiosa mostra su Antonello e il Quattrocento siciliano, la città delle librerie, dei teatri, del cinema, dell’Università (con la sua prestigiosa scuola di giurisprudenza), degli aliscafi, dei cantieri navali, della fiera campionaria. Ed è la città del ministro degli Esteri italiano di quel periodo, Gaetano Martino.
Martino è un europeista convinto. E’ lui il principale promotore della riunione che passerà alla storia come “Conferenza di Messina”. E’ infatti a Messina che, dal I al 3 giugno del 1955, si incontrano i ministri degli Esteri dei sei paesi della CECA. “Mi auguro”, afferma Martino in apertura dei lavori, “che in questa conferenza aggiungeremo un’altra pietra alle fondamenta della costruzione europea”. Ma l’atmosfera iniziale è satura di scetticismo, se non proprio di pessimismo. Troppo vicina e carica di conseguenze negative è la bocciatura della CED. E tuttavia in due giorni ininterrotti di lavoro, avviene il miracolo. E lo si deve alla volontà e alla tenacia di quei sei uomini riuniti intorno a un tavolo.
Chi sono questi uomini? Gaetano Martino è anche Rettore dell’università messinese, liberale, deputato fin dalla prima legislatura, già ministro della Pubblica istruzione. E’ lui a volere che la conferenza a sei si svolga a Messina. La città è risorta dalla guerra e Martino la ritiene a ragione la sede più adatta a favorire la rinascita dell’Europa. Sarà lui a pronunciare il primo discorso di un ministro degli esteri italiano all’Assemblea dell’ONU, a guidare la delegazione italiana nella riunione che sancirà la nascita della Comunità economica europea, a presiedere per due anni i lavori del Parlamento europeo a Strasburgo.
Paul Henri Spaak e il ministro degli Esteri belga. Socialista. E’ stato capo del governo dal 1938 al 1939. il più giovane nella storia politica del Belgio; presidente della prima assemblea dell’ONU nel 1946; ancora una volta primo ministro dal 1946 al 1949. Ed è stato anche un grande avvocato. Nel 1930, al tribunale di Bruxelles, difende Fernando De Rosa, il socialista italiano che aveva sparato un colpo di pistola contro Umberto di Savoia, non per ucciderlo, ma per compiere un gesto dimostrativo contro il regime fascista. Testimoni nel processo, a favore di De Rosa, personaggi del calibro di Francesco Saverio Nitti, ex presidente del Consiglio italiano; Marion Cave, moglie di Carlo Rosselli: il leader socialista Filippo Turati; lo storico Gaetano Salvemini; il giornalista Alberto Tarchiani; la medaglia d’oro Raffaele Rossetti. L’avvocato è un regista perfetto. De Rosa se la cava con il minimo della pena e il processo si trasforma in un atto d’accusa contro il fascismo. Negli anni a venire Spaak sarà ancora ministro degli esteri e, dal 1956 al 1961, Segretario generale della NATO.
Il tedesco Walter Hallstein ha un episodio del suo passato che lo accomuna con Gaetano Martino: anche lui è stato Rettore di un’università, quella di Francoforte. E’ un giurista. Capo della delegazione tedesca ai negoziati per la creazione della CECA, nel 1951; Segretario di Stato agli Esteri, lo rimarrà fino al 1958, quando diverrà il primo Presidente della Commissione della Comunità economica europea, incarico che coprirà fino al 1967. Hallstein, sulla scorta del “Manifesto di Ventotene”, fu uno strenuo fautore dell’unità politica dell’Europa, da realizzare con un esecutivo e un parlamento forti e rappresentativi. Ma Hallstein si trovò subito di fronte un avversario altrettanto determinato ma molto più potente, l’uomo che aveva risollevato le sorti della Francia, l’aveva trasformata e la guidava con piglio militaresco: Charles de Gaulle. Stella polare del generale era la “grandeur”. La Francia, nella visione di De Gaulle, continuava ad essere, come nel passato, una grande potenza europea che non avrebbe mai ceduto quote di sovranità nazionale a favore di un organismo politico più ampio. Si poteva, al massimo, creare un’ “Europa degli Stati”, non l’ “Europa dei popoli” preconizzata da Hallstein e dai più convinti europeisti. Ancora oggi, a sessantacinque anni di distanza, la questione non è risolta.
Antoine Pinay è il ministro degli esteri francese. E’ un uomo di destra e ha un passato da far dimenticare, perché ha aderito alla Francia filo-nazista del Maresciallo Petain. Ma nel dopoguerra, scontata una breve epurazione, é stato reinserito nella politica attiva del suo paese, prima, dal 1950 al 1952, con la presidenza del Consiglio, e poi, nel 1955, con il dicastero degli esteri. Ora è un conservatore moderatamente europeista. E a Messina contribuisce attivamente alla conclusione positiva della riunione.
I lavori della Conferenza furono presieduti dal ministro degli esteri del Lussemburgo, Joseph Bech. E’ un uomo politico dell’ante-guerra. L’occupazione nazista del Granducato, nel 1940, l’aveva convinto della necessità di aggregazioni che permettessero anche agli Stati più piccoli di non essere facile preda di mire espansionistiche delle grandi potenze. Contribuisce, per questo, alla creazione del BENELUX (Belgio, Olanda e Lussemburgo) nel 1944, promuove l’adesione del suo paese all’ONU nel 1946, alla NATO nel 1949, alla CECA nel 1951. E a Messina, pone la sua esperienza a sostegno della causa europeistica. Anche l’olandese Jan Willem Beyen è un europeista convinto. I Paesi Bassi avevano pagato un tributo altissimo all’espansionismo hitleriano. Era ora di cambiare rotta.
Ma cosa si decide a Messina? Il primo giorno i lavori vanno un po’ a rilento. Troppo vicina la sconfitta della CED. E c’è qualche resistenza della Francia. Ma il secondo e il terzo giorno si va avanti spediti e si conclude con una risoluzione (passata alla storia come “Dichiarazione di Messina) con la quale si enunciano una serie di principi tendenti alla creazione tra i sei paesi europei di una Comunità europea dell’energia atomica (Euratom) e, soprattutto, di una Comunità economica. Si costituisce anche un comitato intergovernativo, presieduto da Spaak, con il compito di tradurre in strumenti operativi le direttive scaturite a Messina. E’ un momento storico per l’Europa. Quegli stessi paesi che qualche anno prima si erano affrontati in un conflitto epocale, ora pongono le basi di un’integrazione. Due anni dopo, con la firma dei “Trattati di Roma”, i principi postulati a Messina diventano realtà. Si costituisce l’Euratom e, ciò che più importa, il Mercato comune europeo (MEC), poi trasformatosi in Comunità europea (CEE) e infine, ai giorni nostri in Unione europea (UE). Appongono la firma ai Trattati, insieme con i capi di Stato dei “Sei”, quattro dei partecipanti alla Conferenza di Messina. Sono Gaetano Martino, Paul Henri Spaak, Walter Hallstein e Joseph Bech. A Messina era nata la nuova Europa.