di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca
Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
Uno di quei discepoli, fuggiaschi verso Emmaus, quello di cui non si dice il nome, sono io, sei tu… siamo noi. Siamo noi, quasi compiacenti della croce, sempre a lamentarci come ad incarnare quel detto che cita: “lamentati se vuoi stare bene”. Sentiamo una certa affinità con la croce: ci è più connaturale il pianto, la lamentazione, lo sconforto, l’auto commiserazione. Incapaci di reagire come i due discepoli, scappiamo da Gerusalemme, luogo di comunione, luogo di fatica, luogo di relazioni anche se complicate o pericolose, luogo di resurrezione… ma anche di morte.
Forse in questo cammino di quarantena vedendo le migliaia di morti seminati dal Covid, anche noi abbiamo esclamato un pò amareggiati “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele”.
E ancora una volta Egli ci affianca, cammina con noi, non per correggere il nostro passo o dettare il ritmo, ma semplicemente per ascoltare ciò che ci impedisce di essere felici, di essere sereni, di accettarci e di accettare il nostro compagno di cammino… di accettare l’altro con i suoi limiti, le sue fragilità, le sue debolezze che non sono diverse dalle mie o dalle tue. Di accettare anche i doni dell’altro, apprezzarli, gioire per il bene e la ricchezza che l’altro è.
Ci affianca per farci uscire dall’isolamento, dalle nostre chiusure, dal nostro mondo, dalla nostra Emmaus che è quel villaggio dove ci rifuggiamo: i social, il lavoro… tutto ciò che ci fa sentire al sicuro e non esposti più di tanto, dove stiamo bene con il nostro egoismo, le nostre paure, la sete di potere, l’arrivismo… tutto ciò che ci impedisce di riconoscere Cristo nel fratello. E lui scende in campo con il metodo antico della marcatura a uomo e ci scuote, ci sveglia, ci accompagna fuori dal sepolcro. Ci indica il modo di rotolare i macigni che non fanno entrare la luce. Ci indica come a Tommaso i segni della sofferenza per dirci “Io lo so cosa significa soffrire, ma questa tua sofferenza ti deve far crescere, ti deve convertire, ti devi alzare, in poche parole devi risorgere. Io il sepolcro l’ho abbandonato, e tu?”
Gesù si fa compagno di strada, perché è un Dio che preferisce i luoghi aperti, senza muri, senza confini, come un senza dimora, un senza tetto, perché la sua dimora siamo ognuno di noi. Come un “virus benigno” ci contagia e ci fa ardere il cuore. Un Amico, un Fratello, un Padre che ci invita ad ascoltarlo. Se imparassimo ad aprire le orecchie del nostro cuore per far sì che la Parola ribalti le nostre vite, rianimandole, smuovendole, svegliandole da torpore della monotonia della quotidianità! Se lasciassimo a Dio la possibilità di infondere in noi lo Spirito del coraggio per ribaltare i tavoli della falsità, del protagonismo sfrenato, della divisione, delle logiche disumane che continuano ad avvolgerci nell’indifferenza. Se lasciassimo a Dio la possibilità di donarci lo spirito dell’accoglienza per non essere fautori e vittime di una cultura dello scarto, ma prediligere la cultura della vera Carità. Sovente dimentichiamo che l’isolamento, la chiusura ci impoveriscono, la separazione dagli altri, la mancata accoglienza ci rende sterili: “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli” (Eb 13,2)
Una volta incontrato il Signore, facendo esperienza vera di Lui, lo si invita, lo si fa entrare “Io sto alla porta e busso”. La risposta è : “Resta con noi, perché si fa sera”. L’uomo contemporaneo ha fame di parola, di compagnia, di casa, spero che questa quarantena ci sia stata d’aiuto a crescere in questo.
“Gesù si ferma, era a suo agio sulla strada, dove tutti sono più liberi; è a suo agio nella casa, dove tutti sono più veri.”( Ronchi)
Lui il senza fissa dimora, trova posto nel cuore dei discepoli che lo riconoscono nello spezzare il pane. Un gesto semplice che richiama alla condivisione (cfr Is 58,7), è il gesto della vita che si comunica, che diventa feconda e che prende corpo e sostanza nell’altro.
Spezzando il pane, Gesù spezza la sua vita affinché anche noi in memoria di Lui possiamo fare lo stesso.
Il Segreto del Vangelo sta nello spezzare, rompersi e donarsi come il pane per essere anche noi cibo per gli altri, con l’ascolto, con un sorriso, dedicando il nostro tempo ad ogni fratello o sorella per osare, scuotere, irrompere, smuovere, ribaltare la pietra sepolcrale per vivere da risorti.