di Peppino Loteta – Eccoci al 25 aprile, il settantacinquesimo dalla liberazione dell’Italia dal fascismo e dall’invasione nazista. Io ricordo il primo, nel 1945. Ragazzo a Messina, città dove la guerra era finita due anni prima con l’arrivo degli eserciti inglese e americano, seguivo gli eventi con partecipazione ed entusiasmo. Poco tempo dopo, la nascita della Repubblica, la Costituzione, il voto alle donne diedero all’Italia l’assetto democratico tuttora in vigore. Da allora, ogni anno la ricorrenza del 25 aprile è stata ricordata con una festa nazionale, la festa della consapevolezza che senza la guerra partigiana, l’eroismo e il sacrificio di chi salì in montagna sfidando un nemico cento volte superiore, non ci sarebbe nulla di ciò che abbiamo oggi.
Certo, in tutti questi anni non sono mancati, ogni 25 aprile, proteste, insulti, saluti romani, camicie nere e parole d’ordine ereditate dal ventennio mussoliniano, da parte di quell’infima minoranza di italiani legata ai ricordi del regime fascista. Ma mai si era arrivati all’impudenza con la quale in questi giorni Ignazio La Russa, parlamentare di Fratelli d’Italia, ex ministro della Difesa dei governi Berlusconi, approfitta dell’attuale pandemia per proporre di dedicare il 25 aprile ai caduti di tutte le guerre e alle vittime del coronavirus, cantando “La canzone del Piave” al posto di “Bella ciao”. Bene ha fatto Emanuele Macaluso a definire l’iniziativa “un miserabile tentativo di un gruppo di ex fascisti”. Lasci stare La Russa la guerra del 1915/1918 e lasci stare soprattutto i morti di questi mesi. Sono altre storie. Non c’entrano con il 25 aprile che è, e resta, la festa dell’antifascismo e della democrazia.
Una Festa “divisiva”? Sì, certo, ma non come l’intendono i revanscisti. Divisiva perché separa il ventennio della dittatura fascista, ivi compreso l’infame periodo della Repubblica di Salò, dalla rinascita democratica dell’Italia, dalla Repubblica e dalla Costituzione alla quale anche l’ex ministro La Russa ha giurato fedeltà. Non sarebbe male che chi contesta il 25 aprile leggesse alcune delle lettere dei condannati a morte della Resistenza e l’ultimo periodo della lapide vergata a Cuneo da Piero Calamandrei in risposta al boia Kesserling: “…ai nostri posti ci ritroverai, morti e vivi con lo stesso impegno, popolo serrato attorno al monumento che si chiama, ora e sempre, RESISTENZA”.