di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Giovanni
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Come i discepoli anche noi siamo al chiuso per paura, e certamente non solo per il coronavirus: oggi siamo chiusi dentro una struttura muraria e forse continuiamo ad esserlo interiormente come lo eravamo qualche mese fa o un anno fa. Il vangelo di questa domenica, ci mette di fronte alla realtà della paura e alla realtà delle porte chiuse. I discepoli di Gesù, sbandati, delusi, che fanno fatica ad essere comunità in una situazione dove sono stati testimoni di morte, hanno paura dei Romani, hanno paura delle autorità religiose, hanno paura degli altri, di coloro che non conoscono, degli estranei alla loro esperienza, alla loro vita. Hanno paura di coloro che possono nuocere alla loro tranquillità.
Sono tante le paure che accomunano noi e quel gruppo sparuto di discepoli disorientati, sono le paure dell’altro diverso da me, dello sconosciuto che potrebbe celare violenza, imbroglio, truffa, c’è la paura nei confronti del mondo politico visto come strumento di democrazia capace soprattutto di curare i propri interessi, c’è paura del potere finanziario così incerto nell’assicurare lavoro e progresso, particolarmente nella situazione in cui ci troviamo attualmente, c’è anche paura del vicino di cui non ci fidiamo più, del compagno della nostra vita, la paura dell’abbandono, della violenza… un elenco infinito! Davanti a tutto questo che facciamo? Rafforziamo i serramenti di casa, ci infiliamo le cuffiette, ci chiudiamo in un mondo che sia il nostro e dove nessuno può entrare.
Quando le situazioni, da un punto di vista umano, ci sembrano disperate come in questo momento in cui il Covid-19 continua a mietere vittime, crediamo che il Signore sia impotente o che ci abbia abbandonato. La nostra fede in Gesù, la nostra speranza in lui restano timide, paurose. Siamo ripiegati su noi stessi, perché la nostra speranza osa solo fino ad un certo punto.
Tutto questo è ciò che accade anche a Tommaso detto Didimo, cioè gemello: un credente, un generoso, un altruista, un buono. Disposto a seguire Gesù quando questi decide di andare a salvare Lazzaro, dicendo con fermezza: “Andiamo a morire con Lui”. Tommaso è uno che getta il cuore oltre l’ostacolo.
Tommaso è restio a credere a coloro che come lui sono fuggiti, è restio a credere a persone incoerenti, che non vivono ciò che dicono, che promettono paradiso e ti fanno vivere nell’inferno dell’indifferenza e dell’ipocrisia. Tommaso come noi non crede più nelle istituzioni politiche e neppure in quella religiosa. Ma non va via dal cenacolo, resta. Non se va sbattendo la porta, perché è uno che vuole vederci chiaro.
E se c’è la capacità di mettersi in discussione, anche se ci sono resistenze, il Signore viene, attraversa le nostre cancellate, le nostre porte blindate e ci invita a mettere le mani nelle sue ferite che sono le ferite di ogni uomo e donna vittime di ogni forma di violenza e malattia.
Gesù non abbandona nessuno, ritorna nel cenacolo per Tommaso. Viene apposta per lui, perché ogni pecora è importante, perché Tommaso come me e come te è importante. Perché in realtà ognuno di noi è il gemello di Tommaso.
Viene apposta per lui e gli mostra le ferite dei chiodi, il colpo di lancia. Come a dire: so che stai soffrendo, anch’io ho sofferto. Guarda. E Tommaso cede ed esclama piangendo di gioia: “Mio Signore e mio Dio”, ogni dubbio, ogni dolore scompare quando è condiviso col risorto.
Come Tommaso siamo invitati da Cristo stesso, a mettere le nostre mani nelle piaghe dei tanti crocifissi che incontriamo nel nostro cammino, quei crocifissi che non rimarranno in eterno in croce, in quella croce che come amava dire don Tonino Bello è una “collocazione provvisoria e che ci porta alla resurrezione”.
Sono tanti gli uomini e le donne che in questo ultimo periodo come Tommaso stanno facendo l’esperienza di mettere le loro mani nelle ferite del fratello volto di Cristo, che stanno collaborando ad alleviare le sofferenze di coloro che stanno soffrendo a causa delle malattie e della scarsità delle risorse economiche. In loro Gesù tutela coloro che non vengono tutelati a causa dell’egoismo e dell’arrivismo di alcuni.
Forse dopo aver ascoltato un telegiornale o aver letto la cronaca quotidiana, ci stiamo chiedendo quale resurrezione ci aspetta.
Resurrezione è la capacità nuova di accogliere Cristo che ci raggiunge nelle nostre chiusure, nella nostra solitudine, nelle nostre paure, nelle nostre angosce, nella nostra disperazione, nelle nostre depressioni, nel nostro scoraggiamento. La resurrezione: è il trionfo della speranza. Scoprire Cristo risorto in noi, scoprirlo nel più profondo della nostra solitudine, della nostra povertà, della nostra sofferenza, della nostra miseria, questo restituisce la speranza, la speranza viva con la consapevolezza che chi spera in Dio non resterà deluso. Ed è proprio il profeta Isaia a ricordarcelo: “Se dovrai attraversare le acque, sarò con te, i fiumi non ti sommergeranno; se dovrai passare in mezzo al fuoco, non ti scotterai, la fiamma non ti potrà bruciare, perché sono il Signore, tuo Dio”
Penso che siano adatte le parole di un testo di una canzone di un grande cantautore, Francesco Guccini che a me piace tanto e che ci aiuta a capire ciò che significa rialzarsi, risorgere: “perché noi tutti ormai sappiamo che se Dio muore è per tre giorni e poi risorge, in ciò che noi crediamo Dio è risorto, in ciò che noi vogliamo Dio è risorto, nel mondo che faremo Dio è risorto…”