di Frà Giuseppe Maggiore – “Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?
Il primo giorno degli Ázzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: «Dove vuoi che prepariamo per te, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Ed egli rispose: «Andate in città da un tale e ditegli: “Il Maestro dice: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli”». I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.”
Dopo una Quaresima strana, indimenticabile, eccoci alla Domenica delle Palme. Niente palme, niente ulivi da benedire, eppure dal lungo racconto della Passione che ascolteremo nelle varie dirette Fb o tramite la televisione dove il Papa, i Vescovi delle singole diocesi italiane e i parroci proclameranno nel silenzio delle navate delle chiese vuote, Gesù dice ad ognuno di noi: “Farò la Pasqua da te”.
Quel “Tale” dove Gesù manda i suoi discepoli per poter celebrare la Pasqua occupando la sua casa, siamo noi. Sembra proprio che quest’anno, dato che non possiamo spostarci a causa del covid-19, Gesù voglia venire a fare Pasqua con i suoi discepoli dentro casa nostra! Fare Pasqua come il popolo di Israele che si sta preparando ad uscire dall’Egitto e celebra la liberazione consumando un agnello nel circolo ristretto della famiglia. Credo che sia un’occasione da non perdere. È come se il Signore ci dicesse: “Farò la Pasqua da te, nell’intimità della tua casa”.
Nell’intimità della tavola dove ci si racconta, dove si mangia il frutto del lavoro, dove insieme alle pietanze si mettono a tavola anche i problemi economici che questo virus sta causando, Gesù sceglie di consegnarsi a noi così come fece con i suoi discepoli. Ci fa rivivere quella cena dove si consegna ai suoi, nel pane spezzato e nel vino versato. Chissà che questo tempo di digiuno dal Corpo e Sangue di Cristo ci faccia apprezzare di più la vita sacramentale e ci restituisca la consapevolezza che la Messa è un dono per nulla scontato!
In questa settimana, Gesù vive l’intimità dell’agonia e dell’angoscia. Si fa uno con chi in questo periodo vive la solitudine, vive la malattia. Si fa uno con i tanti fratelli e sorelle che stanno vivendo sulla loro pelle la solitudine nei reparti dell’ospedale.
Gesù nel Getsemani decide di andare sino in fondo: vuole donarsi ad ognuno di noi e lo fa lottando contro la tristezza, la paura di essere abbandonato. Prova la sofferenza che ogni uomo prova, cerca consolazione negli amici, cerca la preghiera, ma coloro che dovevano dargli forza dormono, non hanno la forza di vegliare. Più tardi lo rinnegano, lo tradiscono… lo abbandonano. Sembra ripercorrere tutto ciò che oggi viviamo o che ascoltiamo e leggiamo dai media.
Avendo l’esperienza di Pietro, Giacomo, Giovanni e di tutti gli altri discepoli di Gesù, noi siamo chiamati a non fare gli stessi errori: siamo chiamati a portare il peso l’uno dell’altro, non è semplice, ma è gesto di grande intimità, di presa di coscienza che siamo figli e di conseguenza fratelli e come tali non possiamo dimenticare il prossimo. Ci sono tanti mezzi per stare vicino all’altro, ringraziando Dio non mancano i mezzi per renderci presenti pur stando a casa.
Nel lungo racconto della Passione c’è anche la storia di Claudia e Pilato: Matteo racconta della moglie del governatore, che mette in guardia il marito perché quel giusto (Gesù) l’ha molto turbata in sogno, nell’intimità del sonno. Questo episodio è un appello a ritrovare il senso della convivenza familiare, nel reciproco ascolto, nell’attenzione agli altri, nella custodia dei valori più autentici. Gesù chiede permesso di essere Signore anche della nostra relazione più intima, quella sponsale, senza la sua presenza la famiglia corre il rischio di frantumarsi.
In questo periodo dove la famiglia è costretta a stare a stretto contatto, tanti sono gli esempi belli della riscoperta del matrimonio, della famiglia, ma anche tanti sono i casi di violenza sulle donne. Sono tante le donne che vengono picchiate, violentate… uccise. Abbiamo da poco assistito al rito delle Esequie di Lorena abbracciata dalla sua città Favara, dove le lenzuola bianche sventolavano per salutare quella giovane vita troncata dall’incapacità relazionale e razionale di un uomo.
Se non viviamo il nostro stare con l’altro come un’occasione di crescita, tutto si trasforma in un inferno. È urgente ritornare al Signore, saper sostare con Lui. Più cresce l’intimità con Gesù e si affaccia a noi l’esperienza del suo amore, più siamo chiamati a una risposta. E questa risposta, purtroppo, può essere di fuga, di rifiuto, addirittura di aggressione e di rabbia. Lì dove abitano le nostre paure e siamo più vulnerabili, si affaccia il volto del Signore, che sarà sfigurato anche dal nostro orgoglio e dalle nostre codardie. Eppure, non ci lascerà soli. Gesù, in questa passione, quest’anno più che mai, sceglie di venire a casa nostra per stare nella nostra intimità. Desideroso di trasfigurare le nostre relazioni, soprattutto quelle più quotidiane, nelle gioie e nelle fatiche. Desideroso anche, proprio attraverso di esse, di scavare la profondità del nostro cuore, per far fiorire vita dalle spine.
Gesù condivide l’abbandono, la solitudine, la povertà e la morte con tutti i crocifissi della storia. Gesù non ci salva dalla morte, ma nella morte, ci salva condividendo radicalmente la nostra povertà e fragilità. Questa è la grandezza dell’amore di Gesù. La sua debolezza è il segno più luminoso della potenza del suo amore.
Non ci avviciniamo alla croce per solleticare le nostre emozioni e giustificare i dolori che, invece, Dio ci chiede di superare. Non lo facciamo per proiettare sul crocefisso le nostre frustrazioni che acquistano dignità se condivise con Dio. Non offendiamo la croce di Cristo pensando di essere anche noi dei cirenei solo perché affrontiamo qualche inevitabile difficoltà.
Restiamo ai piedi della croce per imparare ad amare, a fuggire il dolore inutile, a lasciarci convertire dallo spettacolo di un Dio che muore per amore.
Buona settimana santa.