di Palmira Mancuso – La storia della Renault4 utilizzata dal Sindaco Cateno De Luca per alimentare la paura che non si facciano gli adeguati controlli per chi necessita di spostarsi in questo momento di estreme restrizioni imposte dallo Stato su tutto il territorio nazionale, e nonostante la pubblicazione di numeri che lo smentiscono, e persino di note del Viminale, ha fatto il giro dei social.
La comunicazione di Cateno De Luca (che da ieri ha “raggiunto” le tv di massa) ha soffiato ancora una volta sulla paura della gente, alimentando insulti e condanne che sono state pronunciate contro lo Stato, le forze dell’ordine, e soprattutto quelli che (senza conoscerne i motivi) erano in viaggio sulla ormai famosa R4.
I social, e questo ci consola, sono però anche capaci di confutare velocemente molte fake news. E così abbiamo scoperto, dalle parole dei protagonisti, la storia di questo viaggio che non è iniziato in Francia, ma da Napoli, da dove questi artisti (francesi ma da mesi nel nostro Paese e senza fissa dimora) sono partiti per raggiungere degli amici che li avrebbero ospitati in questo periodo in cui tutti siamo chiamati a stare a casa.
Parla Boris Drozom che vive in Sicilia e ospita i suoi amici francesi, artisti di strada, senza fissa dimora #restiamoacasa ma #restiamoumanni
Publiée par MessinaOra.it sur Mardi 24 mars 2020
Dunque, ricapitolando: queste persone non sono “untori” (odioso vocabolo che in molti usano evocando periodi della storia che evidentemente non hanno studiato), semplicemente conducono una vita diversa dal comune: viaggiano, guadagnano qualcosa attraverso l’arte di strada, riescono a vivere con poco. Con l’Italia in quarantena sono rimasti senza soldi e senza un luogo dove poter andare. Si sono ritrovati dunque in una situazione di URGENZA comprovata. E la possibilità più vicina per loro per RISPETTARE giustamente l’ordinanza sulla quarantena era quella di raggiungere la Sicilia dove dei loro amici, una famiglia spagnola e argentina, si sono messi a disposizione per ospitarli ed aiutarli. Nonostante vivano in uno spazio ristretto sono soccorsi in aiuto.
Una storia che deve farci riflettere sugli errori che ci fa commettere la paura. Una paura che chi ha la responsabilità di alimentare, sperando in un consenso di popolo, prima o dopo dovrà rispondere.
Noi invece oggi vogliamo ringraziare i siciliani come Giuseppe Pecora, che si è premurato di dare voce ai suoi amici argentini, veicolando la loro storia.
“Sono giunti a Villa San Giovanni prima che la Sicilia chiedesse di inasprire i controlli – scrive lo studente catanese – Hanno comunicato le loro intenzioni alla Protezione Civile e si sono registrati nel portale online della Regione Sicilia, che richiede la registrazione a coloro che entrano nell’isola. Hanno dimostrato di avere ospitalità a Catania ma gli è stato negato l’ingresso ai traghetti senza una spiegazione valida. Sono rimasti per tre giorni e tre notti lì, senza sapere cosa fare. Intanto venivano filmati e insultati dai passanti. Hanno sperimentato sulla propria pelle quell’Italia imbruttita, che si accanisce (scegliendo i nemici sbagliati, facili, comodi e non i veri responsabili dei tanti disastri del nostro paese) e giudica senza sapere. Non parlano nemmeno italiano, dunque non hanno passato dei bei momenti”.
L’Onu ha chiesto ai paesi in guerra il “cessate il fuoco” globale. Noi potremmo iniziare a cessare il fuoco della violenza verbale, del sospetto, del giudizio e del pregiudizio. Abbiamo il dovere di rimanere a casa ma di rimanere svegli, preoccupandoci anche di chi vive questo momento di emergenza con una fragilità anche emotiva, di cui chi ha responsabilità istituzionali deve farsi carico a tutti i livelli.