di Palmira Mancuso – Un gesto di eroismo emerge dalle pagine del libro “Io desidero la pace” di Andrea Sciarcon e Fabrizio Nurra, che ripercorre l’incredibile storia della nave Camogli, che salva i naufraghi del Pentcho, un vecchio rimorchiatore, che il 18 maggio 1940, lascia il porto di Bratislava sul Danubio con a bordo 520 ebrei – cechi, slovacchi, polacchi – intenzionati a discendere il fiume fino a Sulina, sul Mar Nero, dove hanno appuntamento con una nave più grande che li farà proseguire verso la Palestina.
La nave deve attraversare numerose frontiere e viene ripetutamente bloccata e sequestrata. Ogni volta, miracolosamente, i passeggeri trovano il modo di ripartire. Quando finalmente il Pentcho arriva a Sulina, sono trascorsi oltre cinque mesi e la nave che li deve trasportare in salvo non c’è più.
Il capitano decide coraggiosamente di continuare la navigazione finché il motore, inadatto al mare, si sfascia e la nave si arena su un’isola deserta. Dopo dieci giorni i naufraghi sono soccorsi da una nave militare italiana, la Camogli appunto.
Arrivati ormai allo stremo senza viveri e acqua potabile, infatti, solo grazie all’intervento di una nave commerciale italiana, e al coraggio del suo comandante Carlo Orlandi recentemente decorato dal presidente della Repubblica Slovacca, gli ebrei riuscirono a salvarsi. Mentre Orlandi finì imprigionato dai tedeschi in un campo di concentramento militare, gli ebrei furono deportati in un campo di concentramento a Rodi e poi raccolti per intervento di Papa Pio XII dalla Croce Rossa e trasferiti in un campo italiano presso Cosenza, scampando alla furia nazista.
E’ in questa vicenda che si inserisce la storia del coraggioso messinese, all’epoca imbarcato sulla nave italiana.
“È sera e la nave Camogli, condotta dal capitano Orlandi, fa rotta verso l’isola disabitata. Il recupero dei naufraghi non è cosa facile. Tra i marinai che generosamente, anche a rischio della loro stessa vita si prodigano per portare in salvo gli ebrei c’è un siciliano Nino Marchetti. Il bassifondo è disseminato di mine e salvare i naufraghi che non sanno notare e che sono terrorizzati dall’acqua è un’impresa rischiosa. Marchetti è un uomo coraggioso e buono. Si comincia dalle donne e dai bambini. Il distacco dai mariti è doloroso e l’operazione di salvataggio di tutti i naufraghi richiederà più di una settimana. Sulla nave Camogli sono messi assieme, lontani dall’equipaggio, ma Marchetti […] non intende sottostare agli ordini impartiti. Per lui non valgono le leggi razziste e la sua cabina diventa riparo per circa quindici ebrei, che nutre e riveste a proprie spese. Addirittura li seguirà quando saranno sbarcati a Rodi.[…]. Li vivranno in tende allestite in un campo di calcio […]. A Rodi Marchetti, trovato dai militari tedeschi a portare acqua ad alcuni ebrei, sarà fatto bersaglio di maltrattamenti. I tedeschi, che non sono ancora padroni dell’isola, comunque sentono di dover intervenire nella questione ebraica. […]
La vicenda di Nino Marchetti, uomo mite e schivo, grazie alle famiglie degli ebrei salvati, uscirà solo dopo anni dall’oblio. Nel 1972 sarà festeggiato dai superstiti del Pentcho e come tanti giusti ripeterà che il suo gesto non era nulla di eccezionale”.
Vite salvate dal mare, strappate dalla morte di una guerra, oltre ogni razzismo. Oggi come allora un grazie a quegli uomini che non hanno mai perso la dignità e la capacità di restare umani.