Dalle carte della Procura di Messina emergono maggiori particolari sulle abitudini dei clan tortoriciani, che nell’amministrare i propri affari erano molto sospettosi, tanto da verificare sempre che ci fossero telecamere o microspie nei loro luoghi d’incontro, ed effettuare bonifiche persino al ristorante.
«La Quercia (ristorante di Brolo, ndr), per la mafia di Tortorici, è la sala del consiglio di amministrazione della grande società imprenditoriale e di capitali, ma la comparativa modestia dei soggetti e del luogo non deve fuorviare, i profitti su cui gli indagati lavorano saranno degni di altra sede e grattacieli, perché si arriva ai milioni di euro, ai finanziamenti europei, in qualche modo a Bruxelles». Queste le parole del Gip Mastroeni nell’ordinanza che ha portato all’arresto di 94 persone, tra esponenti delle storiche cosche di Tortorici e colletti bianchi che in quel territorio lavoravano per favorire l’accaparramento di fondi Europei destinati ai terreni agricoli, ma non solo.
Si tratta di una vera a propria economia parallela, in cui gli affari non si fanno a colpi di lupara, piuttosto con sofisticate strategie e soprattutto con la spregiudicatezza di chi non teme di essere scoperto. Così gli uomini coinvolti negli affari dei clan si riunivano in occasione di cene (filmate e registrate dagli inquirenti) nel ristorante gestito da Condipodero Marchetta, in assidui rapporti con Salvatore “Salvuccio” Bontempo.
Quello ritenuto più rilevante, secondo quanto scrive la Gazzetta del Sud facendo riferimento alle pagine dell’ordinanza, si tiene il 1° luglio 2016. Particolarmente indicativa, per il giudice, «l’organizzazione di un appuntamento con una particolare cautela nelle conversazioni». A quella cena, infatti, serve che partecipi Giovanni Pruiti, e nell’organizzare l’incontro sarebbe stato necessario che la sua presenza non venisse svelata. Così diventa centrale la figura di Giuseppe Calà Campana, uomo di fiducia di Pruiti e, di fatto, intermediario tra “Salvuccio” Bontempo e lo stesso Pruiti. A Condipodero Marchetta il compito di “allestire” il luogo del summit e il relativo banchetto, a base di ostriche, frutti di mare, aragoste, astice e spigola. Alla cena del primo luglio prendono dunque parte lo stesso Condipodero Marchetta, Pruiti, Calà Campana, Salvatore e Sebastiano Bontempo, Salvatore Costanzo Zammataro e Andrea Caputo.
Una vera e propria «riunione mafiosa», scrive il gip Mastroeni, «la cena era un’occasione per consentire a Sebastiano “biondino” Bontempo ed al cognato Giovanni Pruiti di interloquire riservatamente».
E sono proprio «l’eccesso di cautele, le conversazioni appartate, i nomi non detti a tradire gli associati» e il reale scopo della cena. Tant’è che nei giorni successivi il locale, «incongruamente per un comune ristorante», viene sottoposto ad una «attività capillare di bonifica», per portare allo scoperto microspie e telecamere. Ad occuparsene, come testimoniato da immagini registrate, l’“esperto” Andrea Caputo (presente a quella cena), che viene immortalato mentre insieme a Condipodero Marchetta e, successivamente, a Salvatore Bontempo, smonta impianti per intercettazioni ambientali e va in cerca di telecamere dentro e fuori il ristorante. «Il dato è grave – afferma il gip – ed evidenzia una associazione che si guarda e cerca di evitare le indagini».
Non solo. La Quercia rievoca altre e più cruente pagine della storia criminale nebroidea. Il tradizionale punto di incontro per la famiglia tortoriciana negli anni ’80 e ’90: quel ristorante «era divenuto una base operativa e logistica per i tortoriciani, all’epoca facenti capo a Cesare Bontempo Scavo. In quel posto si chiedeva clemenza e venivano emesse sentenze spietate di morte dai fratelli Cesare e Vincenzo Bontempo Scavo, come da sentenze in giudicato in atti».