Sardine, la piazza delle domande a cui la politica deve rispondere

di Palmira Mancuso – Quando non si ha un regime dittatoriale contro cui resistere (e fortunatamente è il caso italiano) scendere in piazza a manifestare conferma l’inadeguatezza sempre più profonda della politica istituzionale incapace di intercettare esigenze sociali diffuse.

Ogni piazza è diversa, perchè inevitabilmente esprime diverse istanze territoriali: così non è un caso che dalla Sicilia il grido di allarme sia sull’emigrazione, ovvero sull’impoverimento sociale dovuto all’impossibilità di pensare al proprio futuro nelle nostre città, ancorate agli ultimi posti delle classifiche nazionali per qualità della vita. Un dato di fatto su cui bisognerebbe approfondire le ragioni della mancata crescita non solo economica di una regione.

Eppure il fenomeno delle Sardine, che avrebbero potuto chiamarsi Scampi o Elefanti (fa lo stesso, come hanno ben spiegato i quattro “pionieri” della mobilitazione in una lunga ma importante lettera a Repubblica di qualche giorno fa), è un segnale della storia contemporanea che sta attraversando il globo, non dappertutto nello stesso modo, ma da Hong Kong a quello che accade in Sudamerica, ma anche in buon parte di Europa, dai gilet  gialli opposti per toni alle sardine, o in Iraq dove la gente si mobilita contro la corruzione dilagante del proprio governo. Non sono piazze equiparabili ma hanno il connotato singolare di opposizione alle classi dirigenti che evidentemente non riescono a rappresentare il popolo.

Ma accanto alla contestazione frontale mancano però di obiettivi politici puntuali: una sorta di post-grillismo, dove all’antipolitica si è sostituita la politica (“noi siamo politica” è stato detto anche ieri in piazza) senza tuttavia voler costruire rappresentanza.

Per le analisi politologiche ci sarà tempo o forse non servono: le sardine sono persone che hanno un concetto alto della partecipazione civile e che hanno sentito il bisogno di portare il dissenso fuori dalle dinamiche della comunicazione virtuale, lasciandosi la libertà di non fare un partito. Con buona pace di chi pensa di poter cavalcare l’onda o di imbrigliarla.

E’ l’idea di una società inclusiva e moderna quella espressa dalla varie piazze italiane, dove le distanze tra Bologna e Messina sono evidenti, ma dove c’è ancora posto per l’ascolto e per un sentire condiviso che metta il rispetto dell’uomo al centro delle scelte di governo. E’ un tentativo di riaffermare valori e sensibilità che sono stati fondanti della nostra democrazia e più in generale dell’ideale europeo. E certo bisognerebbe trovare un linguaggio comune tra chi all’antisalvinismo propone l’orgoglio in chiave “sicilianista”, chi invece si sente cittadino del mondo e chi rivendica il diritto a viaggiare liberamente per studiare ed emanciparsi senza sentirsi “perdente” perchè ha lasciato la propria città d’origine. Questa sarà la sfida. Imparare a vivere da sardine in un mare di altri pesci, squali compresi.

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