di Fra Giuseppe Maggiore – Il 12 novembre 2003 entrai in un bar del mio paese per prendere un caffè, vidi diverse persone che normalmente non leggono i giornali, tutti accalcati su un quotidiano. Alla domanda di rito: “che è successo?”, mi sentii dare la risposta che non avrei mai voluto udire: “Hanno attaccato il contingente italiano ed hanno ucciso Ivan, il figlio della Signora Felicia Gerbino”.
La signora Felicia sposata con Giovan Battista Ghitti, ebbe due figli Mary e Ivan. La famiglia Ghitti ogni anno trascorreva l’estate a San Fratello e i due ragazzini erano conosciuti dalla gente del posto, avevano anche la loro cerchia di amici e amiche con cui giocavano, andavano a mare e trascorrevano le serate come tutti i loro coetanei. Ivan decide di arruolarsi nell’Arma dei Carabinieri: nel 1993 è ausiliario a Roma, dove aveva fatto la leva dopo il diploma in ragioneria, aveva poi rinnovato il suo arruolamento rinunciando a finire l’università, e ormai da anni era in servizio al 13° Reggimento Friuli-Venezia Giulia di Gorizia, dove ha cosciuto Chiara, la sua ragazza.
Aveva già fatte tre missioni all’estero, tutte in Bosnia, quando decise di farne una quarta in Iraq a Nassiriya. Parte non particolarmente preoccupato, tanto che la sorella Mary in quei giorni della strage a Nassiriya in un’intervista al Corriere della Sera afferma: “Ivan non aveva mai manifestato alcuna preoccupazione particolare, niente che non fosse la quotidianità di un contesto difficile, certamente, ma in qualche modo considerato meno rischioso rispetto alla realtà di altre zone neanche troppo distanti”.
Purtroppo sappiamo tutti com’è finita a Nassiriya: il Vice Brigadiere Ivan Ghitti, non vedrà più lo sguardo dolcissimo e amorevole della sua mamma, che ancora oggi come Maria ai piedi della Croce, come ogni madre che perde il proprio figlio, sembra sussurrare le parole scritte da Jacopone da Todi: “O figlio, figlio, figlio, figlio, amoroso giglio! […] Figlio […] Voglio teco morire…”. Mamma Felicia dopo la morte del figlio si trasferì con il marito e la figlia a San Fratello. Il corpo del Vice Brigadiere Ivan Ghitti riposa nel cimitero del centro montano nebroideo, dove non mancano mai i fiori sulla sua tomba.
Quel 12 novembre del 2003 furono ventotto le persone che persero la vita in quel tragico attentato: 12 Carabinieri, 5 militari dell’Esercito, un cooperatore internazionale e un regista, 9 iracheni, provocando 58 feriti.
Il contributo italiano in Iraq si concretizza a partire dal 15 luglio in “Antica Babilonia”, una missione di peacekeeping con molteplici obiettivi: il mantenimento dell’ordine pubblico, l’addestramento delle forze di polizia del posto, la gestione dell’aeroporto e gli aiuti da portare alla popolazione.
Le foto dei nostri militari dimostrano le relazioni semplici e belle che si sono create con le famiglie e in particolar modo con i bambini del luogo.
Ciò che ci preme dire è che oggi è necessario far memoria di uomini che hanno versato il loro contributo per un mondo che anela alla pace. Vogliamo ricordarli tutti per educare le nuove generazioni al sacrificio e all’abnegazione.
Quel 12 novembre 2003 era una mattina come le altre, almeno fino a quando sul compound piomba a tutta velocità un camion cisterna blu, carico di esplosivo dai 150 ai 300 chili di tritolo mescolati a liquido infiammabile, non fece esplodere tutto. Insieme a Ivan Ghitti, morirono:
Andrea Filippa, Massimiliano Bruno, Giovanni Cavallaro, Giuseppe Coletta, Enzo Fregosi, Daniele Ghione, Horacio Majorana, Domenico Intravaia, Filippo Merlino, Alfio Ragazzi e Alfonso Trincone, tutti appartenenti all’Arma dei Carabinieri. I militari dell’Esercito, Massimo Ficuciello, Silvio Olla, Alessandro Carrisi, Emanuele Ferrero e Pietro Petrucci, che scortavano due civili, il regista Stefano Rolla, che stava facendo un sopralluogo per un film sulle missioni di pace e l’operatore della cooperazione internazionale Marco Beci, anche loro morti a causa dell’esplosione.
Sulla strage sono aperte delle inchieste, ma ciò che a noi importa è ricordare questi ragazzi, uomini e padri che hanno lasciato un vuoto incolmabile. Mogli, fidanzate, figli, genitori e amici, ancora oggi versano lacrime per quelle vite spezzate dalla durezza di cuore e dall’assenza di umanità che ancora oggi prevale sull’uomo.
È vero che la nostra Costituzione “ripudia” la guerra non solo come strumento di offesa, ma anche come “mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”, ma ripudiare la guerra non vuol dire tuttavia non valorizzare le forze armate. Anzi, nei contesti martoriati dai conflitti in cui operano le missioni internazionali, spesso sono proprio le forze armate a rappresentare un presidio di pace ed è questo ciò che si deve trasmettere alle nuove generazioni.
Che il Sacrificio di Ivan Ghitti, degli altri militari italiani e di tutti gli appartenenti alle forze armate che ogni giorno danno la vita non solo in terra straniera, ma anche sulle nostre strade, non sia vano, ma serva a far crescere maggior rispetto nei confronti di ogni essere umano e comprendere che il valore del sacrificio è necessario per la conquista della libertà e della democrazia.