di Tino Carrozza – Nella lunga storia e tradizione della canzone italiana sono stati molti gli artisti in grado, partendo da un loro punto di vista, di interpretare il Paese o, comunque, di raccontare le emozioni ed i sentimenti loro e dei loro giovani ascoltatori; De André, Mina, Giorgio Gaber, De Gregori, Lucio Dalla – il preferito da chi scrive – ma anche Battiato e Paolo Conte sono stati degli autentici Artisti con la A maiuscola.
Indimenticabili le loro canzoni: gli inni agli ultimi ed ai diseredati di Faber, i sentimenti cantati da Mina, le canzoni prima gioiose poi sempre più impegnate di Gaber, l’italianità espressa dalle canzoni di De Gregori e Lucio Dalla sono state l’accompagnamento musicale di più di una generazione di ascoltatori, come anche le altezze spirituali di Battiato (diventato in seguito anche un famoso regista) ed i divertissement di Paolo Conte.
Dopo un passato cosi glorioso c’è da chiedersi quali siano gli eredi e se siano stati all’altezza di tali maestri.
Con rammarico dobbiamo dare risposta negativa.
È forse un artista Brunori Sas? È un artista il tanto esageratamente lodato Calcutta? Vinicio Capossela è un ottimo entertainer, ma non un artista, e per quanto brava e di talento sia Elisa, riesce a raggiungere la grandezza di Mina? Ad una analisi neanche troppo impegnativa si direbbe di no.
Ci troviamo di fronte ad una crisi di creatività, non solo nella musica ma anche nella cinematografia, la cui causa non è difficile individuare.
Non credo che sia stato l’avanzamento tecnologico a provocare questo abbassamento di livello nella espressione artistica, quanto piuttosto la caduta delle ideologie e delle narrazioni collettive abbia tolto materiale e tematiche ai cantanti ed agli scrittori, se due dei migliori libri contemporanei, La ragazza con la Leica ed Atti osceni in luogo privato, sono stati ambientati in pieno 900.
Cosa può far resuscitare la canzone italiana, che ha avuto una storia di indiscutibile prestigio? Un ritorno allo spirituale, che non deve essere per forza confessionale, potrebbe salvare dalla mediocrità gli artisti contemporanei, se questi si lasciassero fecondare e contaminare da questo, come ha fatto Simone Cristicchi con la sua ultima canzone presentata all’ultima edizione del festival di Sanremo.
Il sociale, per quanto sia stato lungamente e magistralmente trattato nello scorso secolo, ha perso la sua spinta vitale e creatrice con l’avvento della modernità liquida; ora servono valori forti, spirituali, appunto, per dare un nuovo slancio alle arti.
Speriamo vivamente in una educazione al bello che da sempre ha forgiato l’anima degli italiani ed anche in una formazione emotiva delle nuove generazioni che passa anche attraverso la musica, e che i cantanti, come già faceva lo stesso De André, si riapproprino delle tradizioni spirituali del nostro Continente Europeo, per dare loro nuova vita e più vigore ai propri linguaggi.