di Palmira Mancuso – Quanta dignità in questo uomo. Non conoscevo personalmente Salvatore Caponata, ma sono onorata di pensare che Messina, tra le pieghe di certa dolente umanità, che sopravvive con fatica ma non serba rancore, sono nascoste perle di grande sensibilità.
Tornare a lavorare in un cantiere di servizio a 56 anni: questo è il primo elemento che mi ha fatto riflettere nella società del “reddito di cittadinanza”. Perchè Salvatore Caponata voleva “sporcarsi le mani” ed era stato contento di essere assunto, anche se per tre mesi, come altri 463 operai per svolgere in 32 cantieri sparsi per tutta la città lavori di pubblica utilità. Un’attesa lunga più di un anno dalla domanda, e quel senso di sentirsi quasi più fortunato perchè tra i primi 500 degli oltre 2000 che aspettavano. Così da andare a lavorare sereno nella scuola Cannizzaro, dove si trovava a tinteggiare, quando lo scorso 10 ottobre è caduto dall’impalcatura. O meglio, da una lunga scala sulla quale si trovava.
Il secondo elemento che scuote le coscienze è la volontà di donare gli organi. Un gesto della famiglia Caponata grazie al quale altre persone potranno vivere meglio: una generosità non scontata, in un momento di grande dolore dopo nove giorni di agonia passati nel reparto di rianimazione del Policlinico.
E mentre la Procura della Repubblica di Messina insieme all’Ispettorato del Lavoro sta accertando la corretta applicazione delle misure di sicurezza nel cantiere, lunedì i cantieri di servizio ripartiranno dopo lo stop imposto dal sindaco per i dovuti accertamenti.
La morte è sempre ingiusta. Morire sul lavoro lo è ancora di più. E’ dovere della città non dimenticare le vittime come Salvatore Caponata, o come Antonino Tomasello, l’operaio di Messinambiente schiacciato tra le lamiere della spazzatrice che conduceva, sul torrente Pace, che solo pochi giorni fa ha avuto “giustizia” con la condanna in tribunale dei responsabili societari per la mancanza di sicurezza.
Eppure l’unico modo per restituire un pò della dignità che Caponata ha donato alla città, quindi a noi tutti, è non permettere che accada di nuovo. Perchè “la fortuna non è un dispositivo di sicurezza”.