di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro». Ed egli disse loro questa parabola: «Chi di voi, se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va in cerca di quella perduta, finché non la trova? Quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle, va a casa, chiama gli amici e i vicini e dice loro: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora, quella che si era perduta”. Io vi dico: così vi sarà gioia nel cielo per un solo peccatore che si converte, più che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione.
Oppure, quale donna, se ha dieci monete e ne perde una, non accende la lampada e spazza la casa e cerca accuratamente finché non la trova? E dopo averla trovata, chiama le amiche e le vicine, e dice: “Rallegratevi con me, perché ho trovato la moneta che avevo perduto”. Così, io vi dico, vi è gioia davanti agli angeli di Dio per un solo peccatore che si converte». Disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».
Il brano del vangelo di questa domenica è lunghissimo, ma non scoraggiatevi, non spaventatevi, leggetelo e meditatelo per poi viverlo.
Parla di un Dio che dedica del tempo alla ricerca di chi è perduto, di chi è messo ai margini da una logica esclusiva più che inclusiva, la logica dello scarto, del numero chiuso, la logica del prima noi. In questi giorni sta facendo il giro nel web l’audio della “signora” (non tanto signora), che non affitta ai meridionali e spiega anche il motivo del suo agire.
Dio la pensa diversamente e Gesù suo Figlio lo segue in questo stile accogliente e misericordioso. Mangia e beve con la feccia della società, con peccatori, pubblicani e prostitute, mette con loro le mani nello stesso piatto per indicare che si fida di loro, che è loro amico. Lo stesso cibo alimenta ciascuno, diventa il corpo di ognuno, simbolicamente diventiamo fratelli, così come avviene o meglio come dovrebbe avvenire quando partecipiamo all’eucarestia.
Il Signore ama il peccatore, non il peccato che egli ha commesso. Accettare l’uomo, non significa condividere sempre ciò che compie, ma amarlo perchè essere umano.
A Gesù piace mimetizzarsi con i peccatori sin dal suo battessimo, quando si mette in fila con loro rinunciando ad ogni privilegio. Gesù ama i peccatori e va alla loro ricerca: Zaccheo, Matteo, la donna samaritana, Maria di Magdala…
Le tre parabole raccontano della ricerca di loro fatta con lo slancio del pastore, la sistematicità della donna e la tenerezza del Padre.
È un Dio con le braccia allargate che dialoga, ascolta. Lascia novantanove pecore per andare a cercarne una. Accoglie senza fare differenza, egli non ci ama perché siamo buoni, ma ci rende buoni con il suo amore disarmante.
E ciò che ci scandalizza è il fatto che egli è buono, che perdona anche quel figlio che lo abbandona per sentirsi libero di fare ciò che vuole, sperperando i valori buoni che riempiono e soddisfano la vita dell’uomo, in cambio di ciò che apparentemente ti rende felice ma in realtà svuota il cuore, la mente e ti rende debole.
Il figlio del racconto evangelico non torna dal padre per amore, ma per fame, per paura di morire. Nessuno gli dà nulla, neanche le carrube dei maiali. Nessuno si prende cura di lui, nessuno lo custodisce… credo che la domanda che si pone e che ci poniamo anche noi è: a chi sto a cuore? Al Signore, sicuramente. Per lui è sufficiente che compiamo un primo passo. “L’uomo cammina, Dio corre. L’uomo si avvia, Dio è già arrivato”.
Non gli importa ciò che abbiamo fatto, ma ciò che siamo, figli e da figli veniamo trattati, con tenerezza di padre ma anche di madre. Il nostro peccato più grande è non sentirci figli di Dio. Se non ci sentiamo figli, non possiamo essere fratelli.
Ubbidiamo, andiamo a messa, ci comportiamo bene, osserviamo le regole, ma siamo incapaci di amare? quello che compiamo lo facciamo per compiere un dovere, un precetto o perché amiamo dio presente in ogni uomo? Il figlio maggiore pur essendo fedele alla legge non è capace di accogliere il fratello che è tornato a vivere, rifiuta il suo ritorno… lo respinge perché non osserva le sue regole, non la pensa come lui, in poche parole è diverso da lui.
Meno Male che Dio non ragiona come la donna che ha rifiutato di vendere casa perché l’altra era diversa… meridonale, immigrata… Il Signore dal diverso ne ricava figli, ne ricava amore.