Coraggio e determinazione non mancano loro. I primi importanti punti li hanno già messi a segno le ragazze della nazionale afghana di basket in sedia a rotelle: superare la disabilità e dare risposte convincenti ai pregiudizi culturali contro le donne, soprattutto se invalide, grazie allo sport. Nel Paese, che rimane in cima alla classifica dei quattro peggiori luoghi al mondo per le nascite rosa (seguono la Repubblica democratica del Congo, Pakistan, Somalia e India) denuncia Amnesty International, l’87 per cento delle afghane è analfabeta, il 70-80 per cento è costretto a sposarsi forzatamente, alti sono i livelli di stupri, le violenze domestiche e abituali gli attacchi alle scuole frequentate da studentesse. Non a caso, ai colloqui di pace di Doha, fra i punti trattati vi è anche il riconoscimento e il rispetto dei diritti delle donne «nel quadro dei valori islamici». In Afghanistan, dove la scuola rimane ancora un tabù per 3,7 milioni di bambini di cui il 60 per cento sono ragazze, rileva ancora un rapporto Unicef del giugno 2018, per Somaya, Farzana, Nilofar, Saleha, Nadia, Saleha, Kamila, Shabana, Mulkara, Frishta e Jamila, l’impegno nell’agonismo profuma di rivincita e dignità conquistate. Alcune di loro si ritrovano in carrozzina a causa del conflitto, come Somaya, una bella ragazza di 19 anni che nel 2018 è stata premiata col titolo di “Miglior giocatrice” alla Bali cup in Indonesia: a soli 6 anni ha perso la gamba destra a causa di una mina antiuomo. O come Farzana, rimasta paralizzata a due anni per non essersi potuta vaccinare contro la poliomelite, perché decenni di guerra hanno impedito alla popolazione di aver accesso persino alle cure sanitarie di base.
Non si sono piante addosso, giocano e il prossimo novembre porteranno la bandiera afghana a Bangkok per le qualificazioni ai giochi Paralimpici di Tokyo 2020. A rendere possibile tutto questo il Comitato internazionale della Croce rossa (Icrc) che «supporta la squadra femminile con attrezzature, formazione, coaching – spiega Roya Musawi, portavoce dell’Icrc a Kabul – e lavora per lo sviluppo delle capacità della Federazione di basket in carrozzina e del Comitato paralimpico afgani. Le aiuta anche a trovare sponsor. Attualmente in tutto il territorio sono 442 i disabili che praticano l’agonismo, 126 sono donne e 316 gli uomini». Il governo «non fa molto per supportarlo, ma è ufficialmente a favore», conclude Musawi. E a sorpresa pare che anche i taleban non si siano dichiarati contrari. «Questo mi meraviglia non poco – riferisce Shapoor Safari, già capitano delle truppe del “Leone del Panshir”, il Massoud, che il regime taleban lo conosce bene per averlo combattuto per cinque anni – perché quando erano al potere, alle donne non solo era vietata l’istruzione, ma non era permesso guardare la tv, ascoltare la radio in casa, figuriamoci praticare sport. Se una signora si azzardava a scoprire un polso, le veniva recisa di netto la mano. La mia speranza è che alle elezioni di ottobre i taleban non risalgano la china, viceversa sarebbe la fine delle piccole libertà guadagnate. Da musulmano dico: una nazione che non rispetta le sue figlie, non crescerà mai». (fonte: Avvenire)