Il prossimo 13 settembre saranno passati nove anni dal giorno del suicidio di Norman Zarcone, il dottorando in Filosofia dell’università di Palermo, che a 27 anni si suicidò lanciandosi dai locali della facoltà in viale delle Scienze dopo saputo che per lui non c’era nessun futuro lavorativo nel mondo accademico, dopo tre anni di dottorato di ricerca che ha svolto senza alcuna borsa di studio.
Norman lasciò un biglietto per spiegare i motivi del tragico gesto: “La libertà di pensare è anche la libertà di morire. Mi attende una nuova scoperta anche se non potrò commentarla”.
Anche in questo anniversario è il padre di Norman che ricorda un dolore mai sopito e annuncia una manifestazione per non dimenticare il senso di quel gesto estremo, lo sdegno verso “quell’inossidabile struttura di potere a conoscenze famigliari e di casta, che delegittima la massima agenzia formativa del sapere e della cultura”.
Ecco le parole del padre in una mail inviata ai giornali:
“Mio figlio è morto” nel 2010, ma muore anche oggi, muore ogni giorno perché lo Stato, questo Stato nel quale continuo a credere malgrado tutto e nel quale ha creduto anche Norman, troppo spesso divora i propri figli dopo averli demotivati, frustrati e mortificati. Troppi silenzi da parte delle istituzioni, troppa ipocrisia di Stato per un omicidio di Stato ogni giorno più evidente.
Sono stanco di rimanere intrappolato nelle logiche imbalsamate di una politica ignava, bugiarda, votata esclusivamente alle copertine. Organizzare la manifestazione annuale in memoria di Norman mi fiacca, mi deprime, mi costa, perché – oltre a ricordare le mani di mio figlio sul pianoforte che suonano l’intro di Firth of Fifth dei Genesis – devo fare i conti con i ricordi, i rimpianti, come quello che non potrò mai vedere mio figlio giocare, suonare con i suoi nipoti. Mi manca l’odore di Norman…
E poi: troppi cavilli inintelligibili, arzigogoli vari messi come vernice dello status quo, troppe promesse non mantenute, troppe parole sprecate a telecamere accese per far passerella.
Sono stanchissimo, sbatto contro l’ipocrisia di incantatori di serpenti. Troppi falsi amici nelle istituzioni, troppi finti e untuosi rivoluzionari mendicano la scena, troppi impostori della libertà di pensiero riconosco fra le vestali dell’ipocrisia istituzionale. Ricorreremo pertanto alla “violenza” della musica di Norman e della memoria (vedi programma). Abbiamo scelto come esergo le parole di De André perché finché avrò vita li cercherò, li stanerò dalla loro latitanza istituzionale, come ha fatto Norman col suo urlo atroce: “Ma finché li cerco io i latitanti sono loro”.
Non ho mai manifestato nessun intento strappalacrime – le lacrime, le emozioni, non sempre sono portatrici di verità – piuttosto ho agito su un registro narrativo che invita alla riflessione sul gesto di discontinuità osato con il linguaggio più atroce e lancinante da Norman: in questo caso sì che potrà definirsi un “linguaggio del corpo” in piena regola.
Il corpo di Norman che per dire, osare, parlare, denunciare, gridare con
insolenza (
insolenza ha come storia semantica,
insolito), dopo aver parlato, ha taciuto per sempre.
Ma se il suo corpo oggi tace, il messaggio espresso con struggimento è invece rimasto ad ammonirci sulle
mafioserie di un sistema che purtroppo gode ancora di troppe coperture politiche, istituzionali; esso stesso espressione di un modo di pensare servile, mafioso e dalle traboccanti compiacenze nei suoi confronti da parte del controllore. Dimodoché, in questo rimando di responsabilità che vanno dal controllato al controllore, si cade nell’
effetto matrioska. Il gioco delle responsabilità diviene allora, il gioco delle complicità e dell’omesso controllo nell’incastro che va dal pezzo più grande a quello più piccolo. Chiedo con convinzione e veemenza che i casi di baronaggio vengano giudicati con l’articolo 416 bis del codice penale: “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della
forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento e di
omertà che ne deriva…”. Vi invito a leggere la dichiarazione dell’attuale Rettore, una dichiarazione che offende la memoria di Norman, che rende il senso della loro ‘latitanza’ da stanare: “Nel mondo universitario la cooptazione esiste e non può essere considerata necessariamente un male. Mi sembra normale che lo studente che all’interno di quella scuola si è impegnato duramente cerchi il riconoscimento del suo lavoro, un piccolo vantaggio, naturalmente nel pieno rispetto delle leggi” (4 aprile 2018). I concetti di
piccolo vantaggio e di
rispetto delle leggi sono uno schifosissimo ossimoro, la prova provata che i baroni universitari sono dei ‘demotivatori istituzionali’ in quella terra di nessuno che è diventata l’università italiana. E fin qui la storia non mi ha mai, purtroppo, smentito (gli ultimi casi di Catania vi dicono niente?). Allora io scrivo. Scriverò col sangue agli occhi. Altri continueranno forse a farlo. Loro – i mestatori istituzionali – sono forti, potenti, si sentono imbattibili, forse lo sono per complicità di sistema. Ma io scriverò e griderò ancora “mafiosi!”, di più non potrei fare. Poi, se altri grideranno, faremo traballare – almeno questo – le certezze, le impunità e la ‘latitanza’ di chi si sente inattaccabile. E non casualmente dall’Italia intera fioccano premi e borse di studio in memoria di Norman, come quella che prenderà il via in Campania nel giorno della morte di mio figlio”.
PROGRAMMA:
Ore 10,00 – Rotonda Norman Zarcone (Brancaccio) – Cerimonia in memoria di Norman con la presenza del Sindaco e delle Autorità.
Ore 20,00 – Piazza Bellini: non stop di musica e cultura fino alle 24,00.
– Marco Canzoneri, dramaturg
– Proiezione corto “Come un aquilone”
– Proiezione corto “Un cielo senza stelle”
– Reading poesie scelte
– Giovanna Di Marco reciterà passi scelti di Leonardo Sciascia
– Gli Agnello
– Afasia rock band
– Enrico Scardina cantautore
– Norman Zarcone Rock Orchestra: sempre con Norman, per il libero pensiero
Special guest: Ernesto Maria Ponte
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