di Frà Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.
Ella aveva una sorella, di nome Maria, la quale, seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola. Marta invece era distolta per i molti servizi.
Allora si fece avanti e disse: «Signore, non t’importa nulla che mia sorella mi abbia lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». Ma il Signore le rispose: «Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta».
Certo che Gesù è proprio insistente, ancora con questa accoglienza… basta!
Invece no, dopo la scomodissima parabola del buon samaritano, ecco un altro brano che ci parla di ospitalità.
Vi ricordate la canzonetta di Johnny Dorelli aggiungi un posto a tavola?
“Il fuoco è sempre vivo la mano sempre tesa. La porta è sempre aperta la luce sempre accesa. E se qualcuno arriva non chiedergli: chi sei? E se qualcuno arriva non chiedergli: che vuoi? E corri verso lui con la tua mano tesa e corri verso lui spalancagli un sorriso e grida: “Evviva, evviva!” .
Usando il linguaggio biblico possiamo dire. “Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo.” (Eb 13, 2).
E ad aggiungere un posto a tavola è proprio Abramo, che alle querce di Mamre, nell’ora più afosa del giorno, da ospitalità a tre sconosciuti, a tre stranieri. “Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto»”.
Ma se sono tre perché si rivolge a loro come se fosse uno? Quei tre sconosciuti, sono Dio che si presenta in incognito. I Padri della Chiesa vedono in questi tre stranieri la Santissima Trinità che vive in se stessa la comunione e tende a coinvolgervi anche Abramo.
Dio viene sempre in incognito e il nostro gesto dovrebbe essere solidale come quello di Abramo, un autentico atto di fede, che lo porta a vedere oltre l’apparenza. Quei viandanti sconosciuti, rappresentano il Signore, che gli piace terribilmente mimetizzarsi nel povero, nell’immigrato, negli emarginati, negli anawim. “Ero forestiero e mi avete ospitato”.
L’ospitalità va fatta con fede – amore – accoglienza che rende davvero qualitativo l’agire di chi accoglie.
L’accoglienza va fatta a tutti, non è solo legata agli stranieri, ma anche ai nostri fratelli e sorelle che frequentano la nostra stessa parrocchia, il nostro stesso gruppo, scuola, azienda… accoglienza nell’ambito delle nostre famiglie, nostre comunità ecclesiali…
Abramo non si pone preoccupazioni, accoglie mettendoci tutto l’amore possibile. Non si pone molti problemi e vince le preoccupazioni e i timori che abitano sempre l’uomo quando si trova di fronte stranieri e persone sconosciute. Abramo, maestro di fede diventa anche maestro di carità.
Nella stessa linea di Abramo, ci sono Marta e Maria che si dimostrano maestre di un’accoglienza spontanea nei confronti di un amico. L’accoglienza di queste due donne, però non è disinteressata come quella di Abramo, loro conoscono l’ospite. Però è necessario sgomberare il campo da letture spiritualistiche che leggono questa pagina affermando che nel rimprovero a Marta il Signore volesse privilegiare la vita contemplativa. Senza Marta Gesù non avrebbe mangiato. Ella l’ha accolto per nutrirlo. Gesù invita Marta e quindi tutti noi a dare il senso di ciò che facciamo e spostare l’attenzione alla dimensione più spirituale per cibarsi anche di quel cibo.
Forse come Marta ci agitiamo per tante cose e non dedichiamo come Maria un momento della giornata al Signore che vuole parlare al nostro cuore. La preghiera e il silenzio nel cuore della nostra giornata, sono come sorgente di serenità e di gioia.
Maria e Marta rappresentano le due dimensioni della vita interiore: la preghiera e l’azione.
A tal riguardo Don Tonino Bello diceva che bisogna essere contemplattivi, con due t, cioè della gente che parte dalla contemplazione e poi lascia sfociare il suo dinamismo, il suo impegno nell’azione.
Tutto parte da quella tavola dove proprio Gesù aggiunge un posto per ognuno di noi, la tavola della eucarestia. La mensa eucaristica quel tavolo dove si sperimenta davvero la convivialità delle differenze, perché ognuno di noi è straniero per l’altro, è diverso dall’altro. Gesù si alzò da quel tavolo la sera dell’ultima cena e dopo aver pregato con i suoi discepoli, lava loro i piedi.
“Alzarsi da tavola come ha fatto Gesù significa anche un’altra cosa: che non si può star lì a fare la siesta; che non è giusto consumare il tempo in certi narcisismi spirituali che qualche volta ci attanagliano anche nelle nostre assemblee.
Infatti è bello stare attorno al Signore con i nostri canti che non finiscono mai o a fare le nostre prediche. Ma c’è anche da fare i conti con la sponda della vita. (…)
La fede la consumiamo nel perimetro delle nostre chiese e lì dentro siamo anche bravi; ma poi non ci alziamo da tavola, rimaniamo seduti lì, ci piace il linguaggio delle pantofole, delle vestaglie, del caminetto; non affrontiamo il pericolo della strada. Bisogna uscire nella strada in modo o nell’altro: c’è uscito anche Giuda, «ed era notte» (Gv. 13,30).
Dobbiamo alzarci da tavola. Il Signore Gesù vuole strapparci dal nostro sacro rifugio, da quell’intimismo, ovattato dove le percussioni del mondo giungono attutite dai nostri muri, dove non penetra l’ordine del giorno che il mondo ci impone.” (Don Tonino Bello)
Cosa significa essere contemplattive lo hanno dimostrato le sorelle Carmelitane e Clarisse con la lettera al Presidente Mattarella e Conte a favore dell’accoglienza. Quando la preghiera è vero dialogo con l’Amato diventa azione…quasi sempre scomoda.
Desidero con voi fare un ulteriore riflessione. Per qualche esegeta in questo brano, sotto sotto c’è anche la questione femminile: tra i rabbini del tempo c’era l’opinione che piuttosto che affidare ad una donna la Thorà era meglio darle fuoco; San Giovanni ci fa conoscere questa mentalità dalla perplessità dei discepoli che si meravigliavano che parlasse con una donna samaritana (Gv 4,27).
Gesù sta ribaltando le convenzioni sociali dell’epoca: si lascia accogliere dalle donne, colloquia con loro, ammette una donna al suo insegnamento. Già Luca aveva accennato al gruppo di donne che li servivano con i loro beni (Lc 8,3)
Gesù è maestro d’accoglienza, ogni essere umano va trattato con rispetto e venerazione.