di Palmira Mancuso – Ventisette anni dalla Strage di Via D’Amelio. Fiumi di parole che in questi giorni però sono stati arginati da quelle inedite di Paolo Borsellino, che abbiamo sentito con tutta la gravità della sua consapevolezza, chiedersi che senso avesse essere privato della libertà per essere scortato la mattina, se poi quello stesso Stato la sera non disponeva dei mezzi per proteggere i suoi servitori.
Viveva questa contraddizione il magistrato, che tutti ormai chiamano eroe e che a destra reclamano come proprio, perchè fa sempre comodo appropriarsi di icone a dispetto di chi non può difendersi. Ma Borsellino ha incarnato valori universali, non appartenenze ideologiche. E da questo valore antimafia dobbiamo tutti ripartire. Perchè ventisette anni non sono serviti a cambiare la mentalità, non hanno permesso ai ragazzi del 92 di emanciparsi dalla mafia che è potere e corruzione, che è sottomissione attraverso la paura (e se leggiamo dentro le cronache è il metodo tornato in auge per certa politica che in questi ultimi anni ha alzato il tiro, facendo accordi con la parte più fragile e borderline dei territori).
Tornano in mente le parole di Paolo Borsellino che a chi gli chiese come si potesse distruggere la mafia rispose fiducioso, “noi arrestiamo i padri, voi educate i figli”. E oggi il peso di questo incompiuto proposito ha il sapore del tradimento. La società per la quale si è fatto uccidere Borsellino è molto più violenta e intollerante di quella che ha vissuto lui, è una società in cui non c’è rispetto nemmeno del ruolo istituzionale della magistratura, costantemente sfiduciata e compromessa da quella stessa politica che da Licio Gelli in poi ha cercato di delegittimare gli istituti democratici del nostro paese. E forse ci sta riuscendo.