di Frà Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».
I settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome». Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
Mi ha sempre lasciato perplesso l’atteggiamento di quei “fedeli” che al saluto del parroco o del frate si stracciano quasi le vesti e versano fiumi di lacrime, per poi sparire dalla parrocchia o dal convento, perché il nuovo parroco o il nuovo superiore non è ritenuto idoneo. La motivazione è semplice, non rientra nei loro canoni o nei loro schemi, questo perché spesso si incorre nell’errore di annunciare se stessi e non il Vangelo. La prova ne è che appena trasferito il consacrato ritenuto buono, simpatico, bello e soprattutto innocuo perché esegue ciò che vuole l’opinione pubblica o la propria cerchia di devoti, si svuota la parrocchia, la comunità. Questo accade perché si ignora la natura della missione che non è legata all’uomo, ma appartiene a Cristo. La missione evangelizzatrice è la natura stessa della Chiesa e in quanto tale ognuno di noi ne è strumento.
Attenzione però che non siamo noi che convertiamo l’altro, ma è Dio che converte, è lui che abita i cuori. A noi, solo, il compito di preparargli la strada come Giovanni Battista che perse la testa per Cristo… in ogni senso.
Gesù ci manda in coppia “Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro”, l’annuncio non è atteggiamento carismatico di qualche guru, ma dimensione di comunità che si costruisce, che fatica nello stare insieme. L’annuncio è espressione della fraternità mai del singolo. Quando due o più persone, che hanno deciso di prendere sul serio il Vangelo, si incontrano e si amano come Gesù vuole, si verifica qualcosa di molto bello: esse cominciano a fare la stessa esperienza dei discepoli di Emmaus, quando si sono sentiti ardere il cuore nell’ascoltare Gesù fra loro e riconoscerlo nello spezzare il pane, nell’eucarestia, preghiera per eccellenza per ogni battezzato.
La missione va costruita con e nella preghiera, partendo proprio dall’eucarestia. L’annuncio è fecondato dalla preghiera, e non un riversare fiumi di parole o di formule, ma un dialogo d’amore che nasce da un attento ascolto della Parola che si deve fare carne in noi. L’ascolto della Sacra Scrittura ci fa comprendere che siamo utili ma non indispensabili, che i protagonisti non siamo noi ma è solamente Cristo.
Solo una vita di preghiera autentica può spingerci ad uscire dalle nostre comodità, dalle nostre convinzioni bigotte e antievangeliche, per andare incontro al fratello a cielo aperto, senza borsa né sacca né sandali, senza cose, senza mezzi, semplicemente uomini, donando una ventata di umanità, ciò che oggi purtroppo manca.
Stare dentro le mura parrocchiali o conventuali, esaudendo così il desiderio di Pietro che voleva fare tre tende per stare comodamente con Gesù in compagnia dei santi (Mosè ed Elia) non rientra nello stile del Maestro di Nazareth: il Pastore bello fu attorniato da lupi, ma non ne condivise mai il modo di vivere. Sappiamo dai Vangeli che il suo stile era una spina nel fianco per i pii devoti dell’epoca e non solo della sua epoca. Il cristiano come il Maestro, non può non stare in prima linea.
“Vi mando come agnelli in mezzo a lupi.” Homo homini lupus, letteralmente “l’uomo è lupo per l’altro uomo” per il vero cristiano anche se l’altro si comporta da lupo è comunque un fratello. Francesco d’Assisi non solo dialogò ma addirittura con la Grazia dello Spirito Santo convertì il famoso lupo di Gubbio.
L’habitat naturale di ogni battezzato è stare proprio in mezzo ai lupi. Lottando con la forza della preghiera e sostenuto dalla fraternità.
Questa società ha bisogno di operai che lavorino nella vigna del Signore, che non siano solo i consacrati o i sacerdoti, ma ogni battezzato che abbia davvero il coraggio di vivere il Vangelo che porta alla vera conoscenza di Cristo e non a vivere una religiosità fatta di norme e precetti disincarnati dall’oggi, combattendo crociate che hanno come obiettivo l’autoreferenzialità che porta alla chiusura delle menti e dei cuori.
Giovanni Paolo II ha raccomandato a tutti noi di non avere paura, che poi è proprio la Sacra Scrittura che ci invita a fare scelte coraggiose. Ciò che dovrebbe spingerci ad osare è proprio la promessa di Gesù “rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli”.
Allora non esitiamo ad essere strumenti di pace che evangelizzano il mondo con l’accoglienza, la solidarietà, il dono di se, la relazione semplice e sincera lottando infondendo amore sapendo che tutto questo infastidisce i lupi del momento. Dio è esperto in abbracci e non in respingimenti, noi non possiamo che imitarlo per essere strumenti della sua Pace.