di Fra giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.
Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta».
Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente». C’erano infatti circa cinquemila uomini.
Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.
Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla.
Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.
Quando sono stato in Brasile, una domenica durante la Celebrazione Eucaristica, ascoltai questo brano del Vangelo, ovviamente in portoghese, durante l’omelia il sacerdote ripeté svariate volte “partilhar”. Dopo aver cercato con il telefonino quella parola che risuonava continuamente nelle mie orecchie, capì che significava condividere, ma ciò che attirò ancor più la mia attenzione, fu quando il sacerdote disse che Gesù non ha moltiplicato il pane ma lo ha condiviso.
Infatti se rileggiamo attentamente il brano del Vangelo non c’è traccia del verbo “moltiplicare”, ma troviamo spezzare e dare. Sono proprio questi due verbi il vero miracolo. Sono due gesti semplici, alla portata di tutti, eppure risultano difficili da compiere, ma nel momento in cui li mettiamo in pratica, avviene il miracolo della comunione con il fratello, che è vera fraternità.
Spesso siamo come i discepoli, abbiamo a cuore le varie situazioni che vedono coinvolte famiglie, giovani e tantissime altre persone che vivono momenti difficili, ci preoccupiamo della gente, ma non abbiamo soluzioni da offrire. Siamo pronti a dare l’elemosina, a comprare qualcosa da mangiare a chi è per strada, anche a dare qualche soldo in più, ma siamo sicuri che basta? Facciamo convegni, momenti di preghiera per gli ultimi, per i rifugiati, raccolte, pesche di beneficenza, diamo qualcosa, ma non diamo noi stessi, siamo come Pietro e compagni che erano disposti a fare diversi chilometri a piedi per andare a comprare del pane per quella gente, ma poi che ognuno risolva i suoi problemi da solo. Gesù non è d’accordo, non li ascolta, lui non ha mai mandato via nessuno. Non respinge chi ha fame o chi non ha un tetto dove stare, non da la borsa della spesa con un pane e un pesce e poi arrangiatevi. Non solo si occupa, ma si preoccupa di quelle persone, perché in quanto tali sono sacre, in quanto figli di Dio, sono fratelli. Non basta la generosità, urge comunione che è condivisione.
Fare comunione significa porre particolare attenzione al momento che stiamo vivendo, non possiamo dirci cristiani se manca la comunione, se viviamo disincarnati dalla realtà, la preghiera soltanto non crea comunione, è necessario che ci trasformiamo noi in preghiera, così come ci insegna Francesco di Assisi. La comunione non si fa con i sentimenti o con le parole ma con fatti concreti che ci mettono all’opera. L’invito di Gesù è di una chiarezza estrema “date voi stessi da mangiare”.
Certamente non è né comunione e né tanto meno condivisione chiudere le porte, i confini, i porti, chiudendo i cuori e predicando odio. Stiamo costruendo una società con lo sguardo corto, togliamo speranza agli altri perché noi l’abbiamo persa, abbiamo fatto dell’egoismo il metro della nostra esistenza, così finanza e politica annaspano senza prospettive.
Oggi in tutte le nostre città e paesi ci saranno le processioni del Corpus Domini, quel pezzo di pane bianco deve scuoterci. Gesù si consegna ad ognuno di noi nel pane spezzato e condiviso, per fare tutto in memoria di Lui.
“La nuova umanità, la Chiesa, si realizza dallo spezzare il pane, dalla comunione, dalla libertà dall’egoismo e le sue paure: ci sono risorse da condividere, calore umano e parole di speranza da scambiarci. Lo spezzare il pane rende presente e riconoscibile il Signore nella nostra vita, le dodici ceste di ciò che è avanzato sono il segno dell’abbondanza con cui Dio corona la Comunione.” (Cantini)
Allora condividiamo il nostro tempo, impariamo ad osare, a mettere a disposizione non solo ciò che abbiamo, ma ciò che siamo.
Solo se comprendiamo l’Eucarestia, se partiamo da essa, se ci alziamo da quella mensa dove Cristo ogni giorno si spezza e si versa per noi, donandoci all’altro senza riserve, possiamo dirci davvero cristiani.
Urge ripartire dalla Preghiera davanti a Gesù Eucarestia per comprendere che l’altro non è un nemico ma un fratello a cui devo lavare i piedi senza se e senza ma.
L’Eucarestia deve tornare centro e culmine della nostra esistenza, per far si che la Chiesa, comunità di credenti, diventi testimonianza credibile che contagia anche coloro che non abitano in essa. Facciamo tornare Gesù Eucarestia al centro della nostra vita per essere anche noi pane spazzato e vino versato per contagiare la gioia della condivisione.