La posta non arrivava ai destinatari, che risultavano falsamente irreperibili. L’obiettivo era quello di mandare al macero centinaia di lettere per ottenere premi di produzione. In quattro i dipendenti delle poste di Messina che sono stati scoperti e sospesi dal servizio per quattro mesi. La misura interdittiva è stata disposta dal locale GIP nei confronti di quattro dipendenti dell’ente poste, perché, in concorso tra loro e nei rispettivi ambiti professionali, che esercitavano presso il Centro Postale Primario di Distribuzione di via Olimpia, sono stati ritenuti responsabili dei reati di interruzione di pubblico servizio (artt.110 e 340 c.p.) e truffa aggravata ( art. 110 e 640 c2 c.p).
Le indagini condotte dalla Squadra Mobile e coordinate dalla Procura della Repubblica di Messina, hanno evidenziato che il mancato recapito della corrispondenza in città non era fenomeno riconducibile ad un mero disservizio, ma ad una precisa scelta dei responsabili del centro.
Nel corso dell’attività, iniziata nel 2016 e protrattasi per circa un anno, esperita anche con attività tecniche, sono stati effettuati dei sequestri di corrispondenza in parte destinata al macero ed in parte da restituire al mittente, nonostante i rispettivi destinatari risultassero ordinariamente ed agevolmente rintracciabili all’indirizzo indicato sulle missive.
E’ risultato che gli indagati turbavano la regolarità del servizio pubblico cui erano preposti e segnatamente omettevano volontariamente il recapito di plichi postali ai destinatari formalmente giustificando tale omissione – mediante la compilazione del cd. modello 24B – in ragione della asserita non rintracciabilità o irreperibilità dei destinatari, pur a fronte dei dati desumibili dalla compilazione della corrispondenza che in realtà avrebbero consentito l’esatta individuazione dei destinatari e la regolare consegna della posta, e ciò al fine di procurare a sé stessi un ingiusto profitto – consistente nell’indebito conseguimento di premi economici di produzione e di incentivazione operativa – in virtù del solo apparente “smaltimento” della corrispondenza che di fatto, invece, non veniva recapitata ma destinata al macero.