di Palmira Mancuso – “Vediamo se possiamo fare una cosa…invitiamo lo staff di Amici e Maria De Filippi a Messina per festeggiare Alberto”: strappa ancora un applauso il sindaco Cateno De Luca che la finale del talent l’ha vista a Piazza Duomo con alcuni della sua giunta e con i messinesi che hanno seguito la puntata dal maxischermo. Molti di più di quelli che solo poche ore prima avevano visto scorrere le immagini del Cavaliere a chiusura della ultima (o penultima) campagna elettorale del neo esponente di Forza Italia che nella serata di ieri ha invece riassaporato il piacere del consenso allargato di una piazza eterogenea.
Si, perchè al tempo dei social, vincere “Amici” è un evento per cui commuoversi, trepidare, inorgoglirsi: insomma la nuova forma che abbiamo dato al “riscatto sociale”.
C’è da riflettere…in punta di piedi. Senza giudicare il reale affetto di una città verso un giovane di talento, che ha saputo conquistare il cuore di un pubblico televisivo cresciuto a reti unificate.
Per la cronaca: Alberto Urso è stato bravissimo. Nel confronto finale ha battuto la collega Giordana (Premio della Critica). Terzo il ballerino cubano Rafael, davanti al collega Vincenzo. Alberto Urso (anche Premio Tim), tenore di 21 anni nato a Messina, anzi più precisamente a Lipari, è laureato in canto lirico al Conservatorio di Matera (avete letto bene, Matera). Polistrumentista, suona il pianoforte, il sax e la batteria. In passato aveva già tentato di conquistare per due volte un posto nella scuola di Canale 5.
Molte cose insegna la vittoria di Alberto: che insistere alla lunga paga, che studiare a Matera paga, che non prendere posizione paga (nella scuola non ha mai espresso un pensiero critico su qualsiasi argomento che fosse cantare), che la lirica pop paga.
Eppure mi si spezza il cuore a leggere commenti come uno di questi, preso davvero a caso, sui social che da stamattina sono la piazza virtuale su cui lasciare commenti: “Un fratello Messinese che come pochi porta alto il nome di una città che fa fatica ad emergere, una città che sforna talenti che, ahimè… vanno via, perché qui oltre alle bellissime viste panoramiche rimane poco, anzi… niente! In bocca al lupo per la tua fantastica carriera! “
Il messaggio di un coetaneo, che probabilmente ha meno talento di Alberto ma non meno sogni. Ma quali sogni hanno i nostri giovani? E i ragazzi messinesi? Possibile che chi resta deve sentirsi addosso la frustrazione di aver fatto una scelta eroica o di essere sfigato?
La ricerca del successo non è certo una molla di cui vergognarsi: tutti vogliamo avere gratificazioni. La popolarità, certo, non è per tutti. Ma sentirsi realizzati non può essere solo appannaggio dei richiedenti asilo in tv. Vip di cartone la cui notorietà è fragile come il tempo di cambiare canale.
Dunque applausi di cuore ad Alberto, ma ragazzi, messinesi, il riscatto è altro: è emanciparsi dal marketing delle emozioni, cercare le proprie, costruire intorno a noi il mondo che vogliamo aprendo la mente alla diversità, leggendo, viaggiando. Che non vuol dire necessariamente “avere soldi”, perchè si viaggia anche con poco in Europa (la generazione Erasmus ne è testimone) ma si viaggia anche attraverso le storie degli altri.
E tutti abbiamo viaggi da ascoltare e da raccontare, finiti, sognati, appena intrapresi come quello di Alberto.
La città è un organismo umano, di presenze e assenze. Mi piace pensare che ieri, ragazzi dell’età di Alberto, hanno continuato a sperimentare nella loro vita la bellezza di scegliere (che è poi la vera libertà): e nulla è migliore o sbagliato, ne per chi ha scelto di stare in piazza, ne per chi era ad un pernottamento scout, ne per chi Amici non lo segue da anni.
Sono invece le istituzioni che dovrebbero avere la responsabilità di mostrare anche altro, di nutrire e stimolare cervelli e cuori dando a tutti la possibilità di un riscatto che può passare solo dalla conoscenza, dando accesso ai saperi a tutti allo stesso modo. E che invece spacciano disneyland per cultura, talent per emancipazione, tuffi irrispettosi per simpatiche inaugurazioni, buffetti sulle guance per malcelate e incolmabili distanze.