Dal Vangelo secondo Giovanni
In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.
Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.
Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».
Nel mio anno di eremitaggio ho avuto l’opportunità di stare a contatto con dei pastori. Era straordinario vedere come conoscevano le loro pecore e come quest’ultime accorrevano appena sentivano il richiamo che le invitava a raggiungere il luogo sicuro dove passare la notte. Feci anch’io l’esperienza di avere delle pecore, ho imparato a conoscerle ad una ad una, ho messo anche il nome, ad alcune di loro ho dato il latte con il biberon, quindi c’era un legame particolare. Dove andavo io c’erano loro. Durante quell’anno, fece neve abbondante: alzarsi presto con il freddo, dare da mangiare agli agnellini, dare il fieno alle pecore madri, curarle, preoccuparsi per loro, spendere soldi e tempo per loro, mettere le trappole per tenere lontano volpi e cani; tutto questo mi fece capire il termine di buon pastore, e il significato dell’affermazione di Gesù: “Io do la vita per le mie pecore”.
Gesù il Pastore Bello, offre la vita per le sue pecore, perché loro stesse sono la sua vita, intessuta in un rapporto intimo e duraturo con Lui. Egli è capace di lasciare le altre per cercarne solamente una, non vuole che si perda, anche se questa decide di andarsene: la cerca, la recupera, la trae in salvo.
Gesù ci invita a stringere una relazione vitale con lui, ma per fare questo è necessario ascoltare la sua voce e tendergli la mano per lasciarsela stringere dalla mano del Padre.
Sentirsi chiamare per nome è una sensazione bella per tutti, il nome è la totalità del nostro essere, e ne è anche la direzione da percorrere. Chiamandoci per nome, Gesù, ci invita ad entrare in dialogo con Lui, ci invita a far parte della sua Famiglia. Di essere uno con Lui e il Padre. Purtroppo di questo privilegio, noi non ci rendiamo conto. Non prendiamo coscienza che il Signore, sin dal giorno del nostro battesimo, ci inserisce nel sistema Trinitario, che insieme a Lui e il Padre siamo uno.
Ma questa unità non aggrada l’uomo, che preferisce saltare il recinto per esplorare altri pascoli, ascoltare pastori che si rivelano mercenari. Preferiamo ascoltare parole che ci danno false sicurezze, che chiudono il nostro cuore alla relazione con noi stessi e con il prossimo.
Più che la Voce ascoltiamo comandi che svuotano, che danno spazio all’individualismo e all’egoismo.
Gesù usa una terminologia bucolica, per far capire il tipo di relazione che l’uomo deve instaurare con Dio: non ci considera come pecore che seguono a testa bassa la capo fila, non ponendosi delle domande e sfuggendo a ogni decisione personale. In tal senso la figura della pecora ha assunto una connotazione negativa. La pecora del buon Pastore, ascolta la vera Voce, rifiuta il comando del mercenario di turno, incapace di pronunciare con dolcezza e sincerità il nome di ognuno. Ascoltare quella voce e credere, comporta una scelta impegnativa e solitaria, che separa dalla massa. Questa è la condizione per non essere una pecora nel senso deteriore del termine.
Il rischio attuale è non saper riconoscere la voce del vero Pastore che richiama all’unità che Gesù ama.
Guardando il telegiornale ho potuto constatare un esempio di unità che non promuove l’uomo, che non ha nulla a che vedere con l’unione Trinitaria a cui siamo chiamati. A Casal Bruciato, ascoltando il comando del mercenario di turno, la popolazione ha fatto quadrato posizionando le bandiere italiane per mostrare l’unità nazionalista più che nazionale nei confronti della famiglia Rom.
Dall’altra parte di Roma un uomo, Papa Francesco, in nome del Pastore Supremo, Cristo Signore, accoglie in Vaticano i Rom e la famiglia di Casal Bruciato. Il Papa invita a resistere, dicendo no ad ogni forma di odio e violenza.
Urge il coraggio di ascoltare la Voce che è Cristo, Verbo del Padre, di andare contro corrente, il coraggio dell’essere Uno con il Padre.
Il coraggio di incarnare ciò che dice Cristo: “Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano.”
Ernes Ronchi nella sua meditazione settimanale al Vangelo della domenica scrive: “Gesù, usa un’immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano. Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.”
Non lasciamoci strappare dalle mani di Dio, per ascoltare la sua Voce ed essere voce dei piccoli della terra, nostri fratelli.