Il Procuratore De Lucia ricorda Pio La Torre, e sui beni confiscati “l’ANBSC non da buona prova di se”

“Un magistrato deve uscire dal palazzo e andare tra la gente e voi siete la gente con la G maiuscola e lo dico senza voler sembrare populista, dimensione che non mi appartiene”, cosi il procuratore capo Maurizio De Lucia ha cominciato il suo intervento, salutando il pubblico intervenuto in occasione della “Giornata regionale del ricordo e della legalità” nell’anniversario dell’omicidio di Pio La Torre presso la sede di Addio Pizzo Messina in via Roosvelt 36, bene confiscato alla mafia.

“Un’occasione  – dice De Lucia – per ricordare la figura di un grande siciliano che ci ha lasciato uno strumento fondamentale per la lotta alle mafie”.

37 anni dalla data storica dell’assassinio di Pio La Torre, proprio il 30 aprile 1982 e dall’omicidio Dalla Chiesa, nel settembre dello stesso anno, eventi che, come ricordato dal magistrato, accelerarono l’ordinamento della legge che introdusse per la prima volta l’associazione di tipo mafioso (art. 416 bis) e la conseguente previsione di misure patrimoniali applicabili all’accumulazione illecita di capitali.

Ricordando i suoi anni palermitani, De Lucia riporta la frase del mafioso Salvatore Cocuzza arrestato nel ’96 che ha cominciato la sua collaborazione di giustizia proprio il magistrato a cui disse che “la mafia è una struttura intelligente che sa quando eliminare un nemico reale e concreto”; e proprio De Lucia racconta della difficoltà di spiegare ai colleghi esteri il metodo di lotta alla mafia attraverso le misure di prevenzione: infatti è solo in Italia che esiste il doppio binario, dove oltre a confiscare il profitto derivante dal reato, si confiscano anche i beni ricollegabili al patrimonio del mafioso e della sua organizzazione,“iter che deve superare i tre gradi di giudizio con le conseguenti lungaggini, ma che causa l’impoverimento del mafioso e che è divenuta un’arma fondamentale per la lotta alle organizzazioni criminali, grazie anche la legge del 1996 di iniziativa popolare promossa da Libera di Don Ciotti e approvata dal parlamento (non succede spesso che il parlamento approvi le leggi di iniziativa popolare aggiunge De Lucia) che oltre alla confisca prevede la ricollocazione dei beni che vengono destinati alle associazioni antimafia ma anche alle forze dell’ordine per ospitare caserme. Insomma un cerchio che si chiude, il sistema più avanzato del mondo”.

E per comprovare l’efficacia del nostro ordinamento De Lucia cita un’ intercettazione del boss Inzerillo all’epoca del processo “Old bridge” in cui il magistrato era Pm: “Cosa più brutta della confisca dei beni non c’è, conviene andarsene.”

De Lucia si è poi soffermato sul ruolo dell’’Agenzia Nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata istituita nel 2010. “L’agenzia non da buona prova di se”, afferma De Lucia, “non ci sono gli uomini che possano farla funzionare in termini di numeri e di competenza. Il ministro degli Interni Salvini conosce il problema, il decreto sicurezza ne prevede un potenziamento ma non sappiamo ancora se prenderà le misure per avere le risorse per gestire con elasticità e accelerare l’iter considerato anche che i beni sono tanti. I mafiosi vogliono che i beni si deperiscano per dimostrare che loro li gestiscono meglio dello stato. Così come le aziende che i mafiosi “sanno gestire” minacciando sindacati e fornitori, ottenendo lavoratori in nero e prezzi agevolati, invece lo stato con l’amministratore ha le difficoltà oggettive in quanto tenuto a rispettare le norme”.

Insomma con la mafia si può lavorare in nero, con lo stato non si può fare e non si possono tenere i” bilanci” in ordine”. E a conferma delle tesi di di De Lucia ci sono poi “i processi che cercano di valutare le anomalie che si sono registrate nella confisca e nella riassegnazione”: il riferimento è al caso Silvana Saguto, magistrato ex responsabile della gestione dei beni sequestrati alla mafia e sotto processo a Palermo per aver gestito i beni con familiari e amici. Per De Lucia bisogna continuare nel solco tracciato, istituendo un albo e prevedendo una rotazione, nel pieno dello stato di diritto con cui si è operato fino ad ora.

A conclusione del suo intervento De Lucia indica i quattro pilastri che hanno consentito dal 1992 ad oggi di combattere con efficacia la mafia: Cattura dei latitanti – L’isolamento del 41 bis che non consente ai boss di impartire ordini anche dal carcere – La continuità delle azioni giudiziarie (quasi quotidianamente si hanno notizie di arresti e sequestri) – Le Misure di prevenzione che si applicano oltre che al mafioso anche nei confronti del grande evasore e del corrotto abituale, del funzionario pubblico o politico che vende il potere della sua poltrona al miglior offerente.

Enrico Pistorino di Addio Pizzo chiede qualcosa sulla situazione messinese oggi. “La mafia babba non esiste – risponde De Lucia strappando una risata alla platea – Messina ha particolari caratteristiche che solo in parte sono mafiose: vi sono importanti masse di denaro che provengono dal nero riconducibili alla mafia e altri strati di criminalità.

La mafia a Messina è meno violenta e più raffinata, ha sempre fatto affari con pezzi interessati di imprenditoria e professioni. Si combatte con azioni penali non classiche, nei confronti dei bancarottieri ed evasori fiscali che non sono separati dalla mafia e che rendono le cose poco chiare. A differenza dalla mia esperienza di Palermo dove la mafia indossa maglie chiare e facilmente individuabili, qui a Messina in questi due anni ho capito che la mafia messinese indossa magliette grigie. Noi cerchiamo di colpire gli elementi di dialogo tra mafia tradizionale e chi fa affari con gli appalti e il traffico di stupefacenti. In città e in provincia esiste una distribuzione capillare e redditizia, un partita di droga che nel mercato d’origine vale 50 dollari nel nostro territorio rende 50 mila euro. Soldi che si confondono e che servono per fare affari.“

Pistorino di Addio Pizzo mette accento sul consumo critico, comprando prodotti che provengano dal circuito dei commercianti che dichiarano di non voler pagare il pizzo, ricordando la lista di commercianti messinesi che aderiscono.
De Lucia fa i complimenti ad Addio Pizzo, che conosce bene considerato che l’ha vista nascere quando operava a Palermo: “È fondamentale il volontariato, però bisogna fare attenzione al rischio di protagonismo e di burocratizzazione. Chi denuncia è garantito, il personale è preparato, la notizia viene cautelata anche grazie al lavoro di Addio Pizzo, inoltre bisogna approfittare del momento propizio che vive Messina col nuovo Questore che ha esperienza di 8 anni di squadra mobile a Palermo, e i nuovi vertici della Gdf anch’essi esperti nella lotta alla criminalità organizzata: avvicendamenti, precisa De Lucia, che non sono casuali ma che fanno parte di un disegno atto ad intensificare le azioni contro la mafia”.

Prima di rispondere alle domande del pubblico De Lucia esprime però le sue critiche nei confronti delle associazioni antiracket che litigano tra di loro e si sono scisse. “In questi anni ho ricevuto denunce di commercianti ricattati ma non tramite le associazioni; io stringo loro la mano ma non è questo il senso, sono cose meschine che si avvicinano al “professionismo antimafia” . E qui è scattato l’applauso. (Andrea Brancato)

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