di Peppino Loteta – Chissà dove Matteo Salvini trascorrerà il Primo Maggio, se inaugurerà un commissariato di polizia in Calabria o una caserma dei vigili del fuoco in Sardegna? Di certo lui questa festa non la ama, come non ama il 25 aprile, l’una e l’altra sanno troppo (per i suoi gusti) di giustizia, libertà e democrazia.
Non per fargli cambiare idea, ma per permettergli di esprimere un giudizio meno settario, non sarebbe male che il ministro dell’Interno si documentasse sull’origine e la storia del Primo Maggio, dalle ottocentesche battaglie operaie di New York e Chicago alle analoghe rivendicazioni portate avanti in Italia da socialisti e anarchici.
Forse riuscirebbe a capire perché Pietro Gori dedicò un inno a questa ricorrenza (“Vieni o maggio, ti aspettan le genti/ ti salutano i liberi cuori/ dolce Pasqua dei lavoratori/ vieni e splendi alla luce del sol”) e perché il Primo Maggio del 1924, in pieno regime fascista, un ragazzo di vent’anni, Enzo Biondini, issò una bandiera rossa sulla cima più alta del castello di Udine.
O, forse, non capirebbe lo stesso. E rimpiangerebbe il ventennio fascista, quando, abolita la ricorrenza del primo Maggio, si promosse il 21 aprile a “Natale di Roma e festa del lavoro”.