Di Clarissa Comunale – Un caleidoscopio di emozioni è la voce di Massimo Ranieri ne Il Gabbiano, l’opera cechoviana nell’originale e brillante adattamento di Giancarlo Sepe, che conclude la stagione di prosa del Teatro Vittorio Emanuele, una stagione che, come sottolineato dal direttore artistico Simona Celi Zanetti, “ha fatto ritornare il teatro di Messina agli antichi fasti”. “Ringrazio il pubblico – ha continuato la Celi Zanetti – per la numerosa e calorosa presenza. Noi siamo già pronti per la prossima stagione”.
La pièce è eccezionale, al centro del palcoscenico un lungo pianoforte fa da padrone, insieme ad una poltrona rossa. Una scena scarna, libera dalle quinte, che però lascia allo spettatore la possibilità di fruire a fondo dell’unico vero e grande protagonista: l’arte. Massimo Ranieri è un chansonnier che, con ammirevole maestria, guida la trama ed i personaggi attraverso il gioco dell’amore lungo varie declinazioni: per il teatro, per la musica, per il genio, per la famiglia, per una donna. Quel gabbiano, simbolo di libertà, è l’unico elemento invisibile ma costantemente evocato dai protagonisti. Negli interventi musicali, Ranieri tocca le corde di una grande varietà di emozioni, tramite la canzone francese: il dramma, la solitudine, l’abbandono, lo scherzo, il gioco, la felicità, il cuore trafitto. Improvvisamente la letteratura russa è trasportata nelle atmosfere parigine dei gran boulevard, ove si fa spazio un’arte delicata e struggente nella rievocazione delle parole di Jacques Brel, Jacques Prévert o di Serge Lame. Tale mix è sapientemente tessuto da Sepe che rinvia al legame di Anton Čechov con la letteratura francese, in particolare di Guy de Maupassant.
Il viaggio condotto da Massimo Ranieri è attraverso uno specchio la cui immagine riflessa è quella del giovane Kostja, che costudisce e cerca di portare avanti i suoi sogni e le sue aspirazioni di scrittura teatrale contro l’indifferenza della gelida madre attrice Arkàdina, donna egoista, appagata della sua sola gloria, seduta su un trono irraggiungibile al contrario della giovane rivale Nina, attrice di scarso successo. Il teatro, che non è la vita, ma solo un sogno, si perde nel “delirio decadente” di chi scrive come vuole e come può. Un sogno d’arte che è, però, terreno fertile per raccontare le coltellate, le idee, gli amori falliti. La scrittura diventa, dunque, un’ossessione, come in Trigòrin, che anela alla fama di Tolstoj e Turgenev, ma che si perde tra le flebili braccia di Nina. Quel gabbiano, in cui tutti i personaggi si riconoscono, non vive, ma cade sulla gelida terra dopo essergli state tarpate le ali, metafora di una libertà sempre ostacolata dagli altri. Basterebbe solo un po’ d’amore e di perdono.
IL GABBIANO
di Anton Čechov
adattamento Giancarlo Sepe
con Massimo Ranieri
Caterina Vertova
Pino Tufillaro e Federica Stefanelli
e Martina Grilli, Francesco Jacopo Provenzano
scene e costumi Uberto Bertacca
disegno luci Maurizio Fabretti
musiche a cura di Davide Mastrogiovanni e Harmonia Team
produzione esecutiva Giampiero Mirra
regia Giancarlo Sepe
coproduzione Diana Or.i.s. srl e Rama 2000 srl