di Fra Giuseppe Maggiore – Non le manda a dire l’Arcivescovo di Palermo, monsignor Corrado Lorefice che non apprezza e non condivide ne l’atteggiamento e né tanto meno il dialogo che padre Mario Frittita ha avuto con un cronista al termine di una funzione religiosa all’interno della Chiesa di Santa Teresa alla Kalsa, durante la quale è stato ricordato, nella memoria dei defunti, il boss mafioso Tommaso Spadaro nel trigesimo della sua morte e del quale, oltretutto, erano state vietate le esequie pubbliche.
Il frate carmelitano comunque è finito più volte sotto i riflettori della cronaca, in quanto nel 1997 pernottò per ben quattro giorni nel carcere Ucciardone certamente non come cappellano ma come chi deve scontare una pena. L’accusa era di aver favorito la latitanza di un boss mafioso, Pietro Aglieri, il più grosso e ricco trafficante di droga della Sicilia occidentale, il padrino che tutta la polizia italiana ha inseguito e cercato per tutta la penisola. Il buon frate forse per convertirlo o forse per altri motivi che a noi non è dato di sapere, gli celebrava l’eucarestia nella cappella che lo stesso boss aveva costruito nella sua abitazione privata. Il carmelitano che all’inizio fu condannato a scontare due anni e quattro mesi, fu poi assolto in Appello e in Cassazione.
“La conversione del peccatore, anche del mafioso messo al bando dalla stessa Chiesa, è un diritto che ogni sacerdote può esercitare. E dunque non può essere condannato per favoreggiamento un prete che ha incontrato di nascosto un latitante per portargli conforto spirituale”. Le motivazioni della Suprema corte non lasciarono spazio ai dubbi: “I sacerdoti non sono tenuti a correre da giudici e carabinieri per consegnare persone o informare di reati dei quali vengono a conoscenza a causa del loro ministero”. Il diritto canonico sostiene che rientra nei compiti dell’uomo di Chiesa la “conversione del peccatore, sebbene privato dell’ausilio sacramentale dell’eucarestia”.
Rispettando il ruolo sacramentale e la ministerialità del sacerdozio, certamente a noi i dubbi rimangono, anche perché se il boss veramente si voleva convertire andava in parrocchia, si confessava, si comunicava, per poi costituirsi alla polizia. Nulla di tutto questo.
Qualche giorno fa Padre Frittita ci ricasca celebra il trigesimo di un altro mafioso e si scaglia contro un cronista di un famoso quotidiano nazionale minacciandolo di fargliela pagare.
La Chiesa sui funerale dei mafiosi è chiara, forse sono alcuni sacerdoti che non hanno chiaro ciò che devono fare e a chi si devono rivolgere in caso che nella loro parrocchia si presenti un situazione del genere.
Il Canone 1184 del Diritto Canonico (n. 3 par. 1) afferma che le esequie si negano “ai peccatori manifesti ai quali non è possibile concederle senza pubblico scandalo dei fedeli”. E subito dopo (par. 2): “Presentandosi qualche dubbio si rimanda all’ordinario del luogo al cui giudizio bisogna stare”. Gli unici su cui si afferma esplicitamente il divieto sono “apostati, eretici e scismatici”.
Dunque solo lo scandalo grave dei fedeli, accertato dal vescovo, può evitare il funerale, e credo che per un delitto di mafia non sia semplicemente scandaloso. Quindi quando si incorre in questi casi, il sacerdote non può prendere iniziative autonome, ma deve rivolgersi al suo vescovo che facendo un serio discernimento può decidere in quanto pastore se è opportuno un funerale all’interno della celebrazione eucaristica, se invece è meglio la liturgia della Parola oppure una semplice benedizione, ovviamente tutto in privato.
Spesso i funerali si celebrano all’interno dell’eucarestia che presuppone una comunità di credenti che spesso non è quella che si forma in una chiesa per dare l’addio a un a defunto. Magari si stratta di persone non praticanti o non credenti. L’eucarestia è un atto molto impegnativo. E si tratta di rispettarne la santità e la stessa posizione delle persone che assistono.
Monsignor Maffeis, alla vigilia delle esequie di Totò Riina così si espresse: «Alla Chiesa sta a cuore l’educazione delle coscienze, l’educazione alla legalità, sostenere le tante persone che alzano la testa contro la mafia», Precisando che altro sarebbe, se la famiglia lo chiedesse, «la presenza di un sacerdote per accompagnare con la preghiera la salma», cosa che «non si può negare a nessuno… ovviamente c’è il tribunale di Dio, al quale non ci sostituiamo, ma dobbiamo considerare anche l’importanza dei segni, […]i funerali pubblici per qualunque mafioso sarebbero un segno che confonde».
Anche Papa Francesco si pronunciò sull’argomento scomunicando tutti coloro che appartengono alla criminalità organizzata.
In precedenza San Giovanni Paolo II e papa Benedetto XVI avevano assunto posizioni forti. Venticinque anni fa il primo nella Valle dei Templi ad Agrigento gridò con voce rotta dall’emozione «Convertitevi, una volta verrà il giudizio di Dio».
Monsignor Corrado Lorefice, nel ribadire ancora una volta l’inconciliabilità dell’appartenenza alle organizzazioni mafiose con l’annuncio del Vangelo, torna a fare riferimento alla Lettera “Convertitevi!” dei Vescovi di Sicilia, proprio in occasione del venticinquesimo anniversario dell’appello di San Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento il 9 Maggio del 1993, una Lettera attraverso la quale i Vescovi siciliani hanno voluto riaffermare con forza la distanza tra la mafia e la Chiesa; una distanza rimarcata con voce chiara anche da Papa Francesco in occasione della sua Visita Pastorale a Palermo lo scorso 15 settembre, memoria del martirio “in odium fidei” del Beato don Giuseppe Puglisi: «Non si può credere in Dio ed essere mafiosi. Chi è mafioso non vive da cristiano, perché bestemmia con la vita il nome di Dio-amore. Oggi abbiamo bisogno di uomini e di donne di amore, non di uomini e donne di onore. […] Convertitevi al vero Dio di Gesù Cristo, cari fratelli e sorelle! Io dico a voi, mafiosi: se non fate questo, la vostra stessa vita andrà persa e sarà la peggiore delle sconfitte».
Anche il Cardinale don Franco Montenegro negò i funerali ai mafiosi all’interno della Diocesi di Agrigento dov’è Pastore e guida: nel 2012 proibì i funerali pubblici e permise solo una preghiera per il boss mafioso di Siculiana, Giuseppe Lo Mascolo. L’ordine della Curia è stato netto: nessun funerale in chiesa per boss e presunti tali, a meno che non ci sia un manifesto pentimento pubblico da parte dell’interessato.
“L’unico modo per imbavagliare la mafia è fare sul serio, amare e cercare la verità e il bene, rifiutare la mediocrità, i compromessi e il conformismo. Se la mafia c’è è anche colpa nostra” così affermava qualche anno fa Don Franco Montenegro che continua la lotta alla mafia presente in maniera massiccia nel territorio agrigentino.
Certo non starò qui a parlare di come a volte “uomini di chiesa” per diversi motivi e situazioni si sono trovati a fare compromessi con la criminalità organizzata, ci penserà il buon Dio a giudicarli. Voglio solo evidenziare l’azione di uomini profetici che lottano per incarnare il Vangelo di Cristo, uno su tutti Don Pino Puglisi, oggi Beato e prossimo alla Canonizzazione.