di Ivana Parisi – In questi giorni è in scena, al teatro “Verga”, di Catania, “A. Semu tutti devoti tutti?” della Compagnia Zappalà Danza. Terza tappa del progetto “re-mapping Sicily”, progetto che Roberto Zappalà ha intrapreso da tempo (la prima messa in scena risale, infatti, a dieci anni fa).
La grandiosità dell’opera di Zappalà risiede nella capacità straordinaria di dare una rappresentazione efficace della doppia natura della festa di Sant’Agata. Mischiando sapientemente estetica pop e “lirismo caravaggesco” riesce a rendere conto di un intreccio, sempre foriero di sovrabbondanza simbolica, tra sacro e profano di cui tutte le feste religiose, ma in particolare quelle meridionali, sono portatrici.
I corpi in scena diventano allora sia la rappresentazione di quella hybris tutta siciliana di intendere la devozione come momento pubblico eclatante e allo stesso tempo incarnazione di quella sacralità che nonostante tutto rimane centrale nella celebrazione. Tutto questo non accompagnato ma sostenuto da una colonna sonora in cui si alternano la musica originale di Puccio Castogiovanni e I Lautari, al rock dei “Dire Straits”, all’ultrapop neomelodico napoletano.
Lo straordinario valore del lavoro della compagnia risiede nella potenza evocativa, capace di far emergere le dissonanze legate alla festa popolare, partendo non tanto da un’idea quanto da una domanda. Nello svolgersi di questa domanda, ed è qui la grandezza dell’artista, ciò che emerge è il potere catartico del rito di sovversione.
È così che il punto di domanda del titolo dell’opera, da dubbio, il dubbio che Zappala e Nello Calabrò in qualità di drammaturghi si pongono, si trasforma in questione. L’esplodere del caos, dell’anarchia, la presa di possesso dello spazio urbano da parte dei cittadini, ma in particolare di quei cittadini che generalmente rimangono ai margini dello spazio pubblico e privi di potere, e che per una notte, per quella notte diventano i padroni e sovvertono le regole. Ma proprio per la natura sovversiva insita nella qualità del rito, lo spazio di potere fuori dalle regole che si apre, concede spazio anche alle forze blasfeme del sabba.
La presa di posizione politica, di cui lo stesso Zappalà si assume la responsabilità, entrando in scena e leggendo un brano in cui si mette in evidenza l’infiltrazione mafiosa nei gangli dell’organizzazione della festa, è il culmine del sublime intreccio tra arte e politica, intesa come responsabilità dell’artista e del rispetto del legame con la propria comunità di appartenenza.
In generale va sottolineata, oltre la rilevante portata del progetto artistico, che la Compagnia Zappalà è impegnata da anni non solo a produrre opere di spessore, frutto di collaborazioni internazionali, ma a rendere partecipe e consapevole il pubblico. Educazione dello spettatore portata avanti con tenacia e umiltà attraverso continui confronti promossi tra gli artisti e il pubblico.
Sarebbe utile che la visione della Compagnia Zappalà trovasse spazio nel palcoscenico messinese. Interessante sarebbe guardare attraverso gli occhi di Santa Agata quel che succede durante la nostra Processione della Vara sia in termini politici che sociali.