di Gabriele Fazio per Agi – La terza serata del Festival, a sorpresa, si apre con Baglioni che canta una canzone di Baglioni. Il pezzo scelto è “W l’Inghilterra!” che dice “W L’Inghilterra! Ma perché non sono nato là??”, cosa che stranamente la maggior parte degli italiani si sta chiedendo sconfortata proprio in quel momento. A seguire il solito discorsetto di rito “Anche stasera siamo vivi e siamo qui” che suona un po’ come il “ricordati che devi morire” di Non ci resta che piangere, ok Claudio…mò me lo segno. Effettivamente ancora siamo vivi, nonostante sappiamo che a breve nel nostro destino incomberanno la Tatangelo, Renga e Irama. Al solo pensiero viene voglia di spararsi una maratona di Un Posto al Sole.
I cantanti in gara
Mahmood (5,5): All’Italia il pezzo di Mahmood piace, “ma basta che lo canta a casa sua”. Il brano non è male, ma miscelato nel calderone sanremese, sarà per il palco, sarà per il caleidoscopio televisivo, si disinnesca, sembra forzato.
Enrico Nigiotti (5): Il pezzo comincia con un “Certe cose fanno male” …ecco, appunto. No, su, non siate cattivi, il brano di Nigiotti, una specie di Grignani 2.0 in salsa livornese, ha un senso logico che tutto sommato fila. La canzone, dedicata al nonno, scomparso ultimamente, purtroppo non riesce a catturare, anzi ci lascia qualche dubbio, tipo “Mi mancano i tuoi fischi mentre stai a pisciare”…ma…in che senso? Cioè…proprio durante?
Anna Tatangelo (3): “Non c’è bisogno di fingerci forti”, canta la Tatangelo, quindi sentitevi pure liberi di cambiare canale per un paio di minuti, inutile restare a soffrire, ce lo da lei il permesso. “Le nostre anime di notte” è un pezzo brutto, già sentito mille volte, potrebbero aver mandato in onda una qualsiasi sua partecipazione a Sanremo e non ce ne saremmo accorti.
Ultimo (5,5): Il pezzo di Ultimo ne ricorda un altro che al momento ci sfugge, forse molti altri, forse tantissimi altri, e tutti avevano in comune il fatto di essere dei pezzi bruttini. Una canzone sanremese, in tutto e per tutto, detto nella peggiore accezione possibile; vincerà, non c’è dubbio, ma non lo meriterà.
Francesco Renga (4,5): dobbiamo ammetterlo, al primo ascolto, come avrete letto, non ci aveva convinto granché. Al secondo, invece, va meglio, giudizio forse dovuto al fatto che siamo andati a prendere gli amari e ce la siamo persa. Successo qualcosa di diverso? Ha mangiato un pipistrello? Ha incendiato una chitarra? Renga ha fatto i fuochi d’artificio, vero? Si scherza ovviamente, si fa per ridere, la canzone l’abbiamo ascoltata e non convince, esattamente come la prima volta. Quando si cresce con un sound poi cambiarlo è dote riservata veramente ai grandi. Renga sta sempre lì, batte il passo da una vita, non è mica colpa nostra se il tempo passa.
Irama (2): “La ragazza con il cuore di latta” che il giovane vincitore di Amici di Maria De Filippi canta sul palco dell’Ariston è picchiata dal padre. Storia terribile. C’è da dire, però, non per fare gli avvocati del diavolo, che lei in casa non faceva altro che sparare a palla le canzoni di Irama.
Patty Pravo e Briga (5,5): La coppia ha l’onore di essere accolta sul palco dell’Ariston dalla grande Ornella Vanoni, e le parole che la cantautrice riserva alla collega Pravo e al talentuosissimo Coso, sono commoventi. Peccato che non le capisce nessuno. La canzone comunque è meglio di quanto ci si possa ricordare. C’è qualcosa che non funziona, questo è indubbio; non arriva in nessun modo. Detto ciò la Amoroso ospite e lei in gara, come una Tatangelo qualsiasi, è semplicemente offensivo.
Simone Cristicchi (5,5): Abbiamo lasciato il cuore negli altri pantaloni o il pezzo è davvero così patetico? Un’umiltà ammirevole, ok, ma che rasenta l’irritazione. Lo guardiamo e ci sentiamo in imbarazzo senza saperne il motivo, in colpa come se nostra nonna ci avesse beccato in bagno a trastullarci.
Boomdabash (4,5): ogni anno Sanremo ospita una band che, è evidente, da quando gli dicono che andranno al festival fino a un attimo prima di entrare non fa altro che ripromettersi “andiamo a Sanremo a spaccare! Si! Dai! Spacchiamo! Yeah!”, poi arrivano sul palco, ballano, si sbracciano come forsennati e poi arrivano penultimi e scompaiono per sempre dalla nostra memoria. Ecco.
Motta (7): Ricordatevi questa faccia, perché il pubblico italiano, sempre troppo bravo a far scorrere il dito sullo schermo per passare al prossimo contenuto, alla prossima bacheca, si accorge sempre troppo tardi di ciò che succede. Lo ha fatto anche con De André e Totò, giusto per dirne due. Senza perderci in paragoni inutili per un milione di motivi diversi, dovremmo renderci conto che proprio in questi momenti di nostalgia, questi momenti in cui ci chiediamo, tra improbabili ‘quartetti cetra’ e ‘ornelle vanoni’, come abbiamo fatto a permettere a Young Signorino di palesarsi nelle nostre vita, e questo festival di quei momenti ne è pieno ben oltre una soglia accettabile; dovremmo guardare al futuro, porre l’attenzione verso gli autori di domani, quelli che possano avere voglia, capacità e talento per dirci qualcosa. Motta non vincerà, figuriamoci, anche se ha stile, ha penna, ha decisione, ha intelligenza, e per queste ragioni ne sentiremo molto parlare, specie quando il pubblico si annoierà di giocare a figurine e avrà bisogno dei cantautori veri. E prima o poi accade, a tutti, non avete scampo. Tra quindici anni diremo: “Ma ti ricordi quando Motta è arrivato XXesimo a Sanremo?? Assurdo!”.
The Zen Circus (8,5): Al secondo ascolto il pezzo cresce e chiunque non si sia accorto di ciò che hanno fatto gli Zen sul palco del festival che vada subito a ripulirsi le orecchie. Una sorta di guida praticissima per una rivoluzione culturale. Una profondissima analisi sociologica fatta così, al volo, senza ritornello. La band toscana riporta in diretta nazionale l’intero paese coi piedi per terra. Canta con meravigliosa brutalità la nostra (dis)umanità. In pochi minuti. A Sanremo. Wow.
Nino D’Angelo e Livio Cori (5): mentre diversi pezzi al secondo ascolto ci sembrano migliori e altri si confermano la roba brutta brutta che avevamo sospettato al debutto, “Un’altra luce” purtroppo cala. Purtroppo perché l’esperimento è affascinante, Livio Liberato Cori azzecca il sound e Nino D’Angelo paradossalmente stavolta canta anche meglio, ma ne escono deboli. Eppure, evidentemente per favorirli, li fanno cantare dopo la disastrosa ospitata del signor Paolo Cevoli e qualsiasi abbaio meriterebbe un Grammy dopo cotanta noia. Li aspettiamo alla prossima con tanta fiducia.
Gli Ospiti
Antonello Venditti (9): Magnifica icona della musica italiana che non invecchia mai. No, davvero, non è per dire, qualcuno ha bloccato la crescita di Venditti, ha bevuto dal Santo Graal, non c’è altra spiegazione. Non un capello bianco, non un dente fuori posto, non una stonatura, un segno di fisiologico rincoglionimento, che ci starebbe pure per un classe ’49. Invece lui sta lì, stupendo, mitologico, Baglioni sembra suo zio, sempre uguale a se stesso, sempre più identico alla favolosa imitazione che ne faceva Corrado Guzzanti.
Alessandra Amoroso (0): un festival che può vantare in gara artisti del calibro di Daniele Silvestri, Negrita, The Zen Circus, Loredana Berté e Paola Turci, e poi ospita come una star Alessandra Amoroso, riservandole perfino una standing ovation, disegna i contorni di una situazione perlomeno deprimente. Chiarisce, per quei pochi sprovveduti che non se ne sono ancora accorti, che, al contrario di ciò che dice Baglioni in conferenza stampa, si, è semplicemente uno show televisivo.
Si presenta sul palco vestita come un wrestler o, se preferite, come la star che l’hanno convinta di essere. Non ha una cosa che sia una di speciale, particolarmente interessante. Nulla. Non rappresenta niente di più che la decadenza mortificante del pop e della discografia italiana, messi entrambi alle strette da qualche punto di share in televisione, senza i quali la Amoroso starebbe cantando in una pizzeria di provincia.
Ornella Vanoni (10): Il numero musicale che mettono in scena con Virginia Raffaele in versione badante è imbarazzante, sembra uno di quei video di YouTube dove le nipoti per scherzo cantano al karaoke con la nonna; una roba che non rende giustizia alla caratura artistica di una delle signore della musica italiana. Ma tutto il resto, dall’ingresso in scena accompagnata da deliri intraducibili, fino all’incontro epico con Patty Pravo sponsorizzato dall’associazione italiana dei chirurghi plastici, è pura leggenda. Di gran lunga uno dei momenti migliori di questo festival. Proposta di format alla Rai: Ornella Vanoni e Patty Pravo in un qualsiasi luogo riprese da una telecamera. Fine. Successo assicurato.
Raf e Umberto Tozzi (9): L’Ariston in delirio per il medley dei maggiori successi dei due cantanti. Un commovente tripudio di ricche babbione che fanno ballonzolare le protesi. Un momento che solo la Rai poteva regalarci, questo mentre nessuno si ricorda che questi due artisti (grandi artisti) se sono lì a sponsorizzare un progetto comune con tanto di tour è perché nessuno, ingiustamente, li ascolta più, e la discografia tutta gli ha voltato le spalle più interessata a spingere giovani trappisti dall’aspetto inquietante, troppo impegnata ad assecondare il decadentismo culturale di questo paese.
Paolo Cevoli (0): Cevoli prosegue nella carrellata di personaggi televisivi che in altri tempi Sanremo l’avrebbero vista soltanto in cartolina. Cinque minuti durante i quali gli italiani, dopo aver cercato su Google chi diavolo fosse Paolo Cevoli, sono rimasti con gli occhi strizzati in direzione della tv a chiedersi “Ma che sta succedendo? Ma che stanno dicendo?”. Un altro passo indietro. La cosa comincia a farsi imbarazzante. Facciamo i seri ragazzi, su.
Fabio Rovazzi (7): Rovazzi ha una dote estremamente rara: risulta simpatico ai limiti dell’inattaccabilità. Nel senso che uno vorrebbe anche distruggerlo, riconosce limpidamente in roba come “Andiamo a comandare” che fa esplodere il web, il segno più evidente di quanto in basso siamo capaci di arrivare come razza umana. E di conseguenza ti vien voglia di dargli la colpa di tutto: le guerre, la fame nel mondo, il buco nell’ozono, il rigore di Baggio a USA ’94, Il Volo, i 66,5 al fantacalcio, Il finale di Lost…ma poi ti intrattiene con un bel ritmo, senza fare nulla, e ti ruba un sorriso, di quelli naturali, sinceri. Cosa abbia fatto, esattamente, non è nemmeno chiaro. Rovazzi non fa niente: non canta quando canta, non balla quando balla e non fa il comico quando parla. Non fa niente. Eppure tutto gli riesce. Azzardiamo a pensare che forse un coinvolgimento più ampio, considerandolo nella squadra avendo condotto, e bene, Sanremo Giovani a dicembre, non sarebbe stata un’idea del tutto sconclusionata. Forse avrebbe dato qualche idea un po’ più nuova e genuina. Magari nei prossimi anni.
Serena Rossi (8,5): Baglioni si salva in calcio d’angolo ancora una volta con un’ospitata che puzza evidentemente di marchettone. L’attrice napoletana infatti sarà Mia Martini in “Io sono Mia”, in onda nei prossimi giorni su RaiUno. Eravamo già pronti ad allontanarci schifati dalla tv per prenderci una pausa, quando la ragazza attacca “Almeno tu nell’universo” e ci fulmina lì dove siamo. Il duetto con Baglioni, in quella che è indiscutibilmente uno delle più belle canzoni mai state scritte nella nostra lingua, è da brividi, anche perché Baglioni la conosceva bene Mia Martini, insieme hanno cantato anche “Stelle di Stelle”, un altro capolavoro assoluto. Così alla fine non solo applaudiamo un po’ commossi quando la Rossi, giustamente, chiede scusa a Mimì, a nome di tutti noi, in enorme ritardo, per come l’ambiente dello spettacolo, becero e cafone, l’ha trattata; ma ci ha convinti pure a guardare il film, facendoci infrangere la promessa di non guardare più, per nessun motivo, fiction Rai. Bravissima.
I conduttori
Claudio Baglioni (6): Fa un passo indietro per quanto riguarda la conduzione, si ritaglia solo il suo spazio Siae per le canzoni, la sua pera di gloria. Tutto sommato la formula funziona, potrebbe essere una soluzione per dare un po’ di brio alla parte di varietà, che dai prossimi giorni, fortunatamente, verrà messa in disparte, dato che nelle ultime due puntate le canzoni da ascoltare saranno 24.
Virginia Raffaele (7): la Raffaele nel trio è quella che ne sta uscendo meglio. Soprattutto perché oltre ad essere molto bella sa fare tutto e molto molto bene. Se gli sketch non convincono è perché sono scritti con i piedi e l’intesa con Bisio si perde nella ricerca ossessiva del trovarla a tutti i costi. L’intervento della Vanoni poteva scoppiargli tra le mani mentre lei lo gestisce che meglio era impossibile, le lascia il guinzaglio lungo e la contiene quando deve, regalandoci quello che certamente è stato il miglior momento del festival. In conferenza stampa spiegano da diversi giorni che non può fare personaggi perché non c’è il tempo materiale. A noi dispiace ma lo accettiamo. Non possiamo fare altro.
Claudio Bisio (4): In conferenza stampa annuncia, anzi promette, che con la Raffaele si stanno studiando e faranno certamente qualcosa in queste serate. Ma se queste cose assomigliano, anche lontanamente, all’imbarazzante e interminabile sketch su “Ci vuole un fiore” di Sergio Endrigo, meglio che tornano a fare gli annunciatori. Inqualificabile il momento con Paolo Cevoli, degno di una sagra di provincia, che può funzionare, forse, a Zelig, con un pubblico più pop assetato di tormentoni. Ma Sanremo è un’altra cosa.