di Frà Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Luca (Lc 3,15-16.21-22)
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
Capita e capita spesso quando chi ha un posto di responsabilità che sia semplicemente fare il sagrestano e c’è qualcuno che si azzarda ad accendere le candele dell’altare, di sentire con tono perentorio: “il sagrestano sono IO” come a dire il “ministro” sono io. Spesso mi succede di vedere infermieri che credono di essere capi reparto, semplici dottori che si atteggiano da primari e primari che credono di essere padreterni. Potrei fare migliaia di esempi, però per evitare un’ inutile retorica mi fermo qua.
Il Battista non ha nessun problema a dire che non è lui il Cristo. Non si sente scavalcato e non scavalca nessuno, ha chiaro il suo ruolo di precursore, cioè di colui che prepara la via ad uno più forte di lui. Giovanni non soffre di complessi di inferiorità quando afferma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali, ma semplicemente capisce che è giusto fare un passo indietro in quanto ciò che gli è stato chiesto di fare lo ha compiuto alla grande. Ci sono momenti, nella storia, in cui è saggio tirarsi da parte e fare spazio agli altri per il bene comune. Dall’altra parte Gesù non si presenta come un trionfatore ma si mescola con i peccatori, riceve il battesimo come tutti gli altri mettendosi in fila, è uno dei tanti.
Eppure è descritto come più forte del Battista. In che cosa consiste la forza di Gesù? È palese la capacità di saper parlare al cuore della gente. La sua forza sta nel dialogo che ha col Padre, sta nella Parola che diventa preghiera che a sua volta diventa azione.
Oggi noi più che ascoltare con le orecchie del cuore ascoltiamo di pancia. Non diamo retta alla Parola ma ci facciamo raggirare dalle parole straripanti di odio e menzogne, incapaci di aprire cieli che stillano amore per il prossimo.
La forza di Gesù è lo stare in preghiera, che non è semplicemente uno stato momentaneo ma uno stile di vita. Ogni atto che Gesù compie è preceduto dalla preghiera: le varie guarigioni o resurrezioni, la chiamata degli apostoli, i miracoli, prima di essere consegnato per poi essere condannato a morte Gesù si ritira in preghiera.
Anche quando lo vogliono proclamare re si apparta in luoghi solitari per pregare.
Il tempo dedicato a pregare permetteva a Gesù di essere costantemente guidato dallo Spirito Santo nell’esercizio della sua missione a servizio del Regno di Dio.
È lo stare in preghiera che fa la differenza. Solo chi parla con Dio riesce a compiere le Sue opere.
Pregare non è farfugliare formulette o preghierine imparate al catechismo ma saper dialogare col Padre, lo «stare in preghiera» apre i cieli liberandoli dalle nuvole dell’egoismo e del peccato.
La preghiera personale ravviva in noi la forza trasformante del nostro battesimo.
La nostra preghiera dovrebbe squarciare le nubi grigie delle nostre inconsistenze, infedeltà e pessimismi, ci dovrebbe rendere capaci di tessere relazioni di gratuità. Una preghiera che non fa parte del nostra vita e che non si concretizza nell’accogliere, nel perdonare, nel non essere solidale con i fratelli non è preghiera. Quando attorno a te i veri valori appartenenti all’uomo sono capovolti e te ne stai con le mani in mano balbettando a pappagallo parole usate da altri per racimolare consensi, non solo non sei uomo di preghiera, non sei umano.
Chiediamo dunque il dono dello Spirito perché illumini la mente e il cuore di ogni battezzato affinché attraverso la contemplazione dell’agire di Gesù di Nazareth, documentato nei racconti evangelici, possa instaurare vere e autentiche relazioni di accoglienza, di perdono, di tenerezza, di servizio, in modo da far dire anche noi al Padre: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».