Di Clarissa Comunale – È una danza con una musica techno quella che racconta l’unione tra Lady Anne e Riccardo III nello spettacolo di Auretta Sterrantino di debutto che inaugura la nuova stagione “Atto Unico” in una rassegna teatrale dedicata al tema del tradimento.
Opposti, distanti e lontani i due protagonisti del dramma shakespeariano ruotano sulla scena in coreografie ipnotizzanti in cui il talamo e l’altare si mischiano alle loro vesti e alle loro vite, dicotomiche e folli: l’una, quella di Riccardo, bramosa di potere, spietata e violenta, l’altra, quella di Lady Anne, assetata di vendetta, lucida e corrosa dal desiderio della morte.
Sono sguardi, movimenti, sensazioni, pulsioni quelle che arrivano allo spettatore incantato da una rivisitazione shakespeariana che fa breccia e scuote gli animi.
Il matrimonio, retaggio e convenzione sociale, non è che un incontro di due anime tra l’attesa e la disperazione, come i rintocchi dell’orologio e lo scroscio della pioggia che accompagnano dall’inizio alla fine lo spettacolo. Quel matrimonio, come una tempesta e una clessidra, scandisce l’attimo di una vita di coppia che non incontra l’amore, ma solo lo svuotamento di se stessi, la macchia che sporca due corpi, e che lacera le vesti. Quell’amore, che si rifugia nel non essere, è solo altrove, nell’immaginario, nell’ombra dell’inesistenza: un segreto a cui né Riccardo né Lady Anne sono pronti a custodire. “È giunto l’inverno del nostro scontento” è la ferita al petto che fa sprofondare nel baratro quel matrimonio, l’ammissione del fallimento e del Male che ormai serpeggia tra i due. Lo “scontento” delimita questo baratro per un rapporto in cui Riccardo rimane concentrato sulla guerra, sull’odio e gli inganni, accrescendo unicamente un ego che lo condanna alla pazzia. Quel matrimonio, “connubio di morte”, è l’occasione per Lady Anne della sua vendetta per la morte del padre e del precedente marito, uccisi dallo stesso Riccardo. Quel matrimonio è l’occasione per Lady Anne per ribaltare la tradizione, sconvolgere piani, contraddire l’amore che rimane “altra cosa”; così, il mantra che accompagna lo sposo e la sposa all’altare “prestato, vecchio, nuovo, blu” diventa l’esatta descrizione del loro matrimonio: non proprio, antico, lontano, rinnovato nel dolore, mostruoso, desertico, blu come il livido frutto del colpo all’anima subito. Riccardo, simbolo contemporaneo del potere e della spasmodica ricerca alla tecnicizzazione dell’umano, e Lady Anne, la “vedova bianca”, consunta e già colta, pronta alla morte, sono legati da un anello che non è simbolo di eternità e fedeltà, ma è veleno, fine, “spillo che preme”.
Il poor Richard non è che lo spettro dell’uomo contemporaneo che, presuntuosamente, annienta il mondo e se stesso: consunto dal suo stesso Male, è assassino, odia e ama se stesso, che “dispera e muore”. Quell’immutata legge che sembra governare eterna sugli uomini, in realtà vanifica contro la vastità del Male che si insidia nell’essere umano, ormai sua preda. Così Lady Anne assume su di sé, dal nero, al bianco e al blu, il coloro rosso, come il sangue, come una regina, come la dannazione che la conduce alla libertà. Quel peccato “che chiama il peccato” non è altro che la condanna del nostro mondo, ormai annientato dalle stesse mani umane, ed è stata notevole la resa attoriale di Michele Carvello, spietato ed energico, e Giulia Messina, austera e rabbiosa, di grande merito in uno spettacolo diretto da Auretta Sterratino, commissionato da Mario Gelardi, frutto di uno studio complesso e innovativo che ci interroga sulle condizioni politiche, storiche o più genericamente umane di oggi.
Nella tavola rotonda, successiva alla piece, Vincenza Di Vita, docente di drammaturgia presso l’Università di Messina e critico d’arte, ha commentato lo spettacolo individuando l’ambiguità manifesta “in ogni singola azione, o meglio act, ovvero atto, vizio e ambizione, assassinio ed egoismo, brama di potere e blasfemia”. Per Francesco Paolo Campione, docente di Storia dell’arte e Museologia presso l’Università di Messina, ed Estetica dell’arte italiana presso il Consorzio del Mediterraneo Orientale di Noto, Riccardo III “è il dramma dell’ambizione e la farsa della solitudine: il deforme, il putrido, l’odioso vi si vestono di allettamento: Riccardo III sta tra Tieste e Kim Jong-un, fra Atreo e Trump”. Infine, secondo Maria Serena Marchesi, professore associato di letteratura inglese presso l’Ateneo di Messina, Riccardo III “al di là delle sue innumerevoli allusioni all’età in cui fu scritto e a quella che rappresentava sulla scena, presenta anche oggi vivissimo il fascino eterno della persuasione, della seduzione del Male”.
Prossimo appuntamento domenica 27 gennaio, alle ore 18, presso la Chiesa di S. Maria Alemanna, con Traditori. Contro il ministro dei temporali, da un’idea di Vincenzo Quadarella (voce narrante, canto e chitarra) con Daniele Testa (violino e viola) e l’allestimento di Valeria Mendolia, in un secondo evento “Atto Unico” dedicato all’introspettiva sul tradimento.
Foto: Giuseppe Contarini