di Marina Pagliaro – Chi non ha vissuto gli anni Ottanta non può apprezzare l’energia e la brillantezza di un musical, come Jesus Christ Superastar, che ad ogni tour riesce a raccogliere sempre il sold out in tutti i teatri. L’opera, con l’allestimento di M.R. Piparo, continua certamente a essere con i suoi quarantasette anni d’età uno dei musical più famosi della storia del teatro e dei più irriverenti narratori della storia di Gesù. Ma proprio il peso della sua tradizione si percepisce nel risentire, a tratti, della cultura pop dell’epoca in cui fu portato in scena per la prima volta che marchia nel corso degli anni l’opera rendendola geniale ma non sempre attuale.
Un applauso va fatto certamente alla performance di Ted Neeley, l’interprete originale del musical e del film che la settimana scorsa al teatro Metropolitan di Catania ha incantato in maniera trasversale tutte le generazioni presenti senza far trapelare il peso dei suoi anni. Una voce, la sua, che certamente non rispecchia più quella originale, ma che continua a regalare l’intensità di quegli acuti che legano il pubblico allo spettacolo. Il giovane cast di attori, cantanti e ballerini calca il palco con destrezza, sicurezza e tanta maestria, forse messa poco in risalto dalle numericamente esigue coreografie presenti, ringiovanisce comunque un musical in cui la centralità è tutta di Giuda, magistralmente interpretato da Nick Maia.
Solenne e forse priva di tutta la biblica personalità con cui è descritta nei vangeli Maria Maddalena, interpretata da Simona De Stefano e riconoscibile in scena per il rosso – color del peccato – dei suoi abiti. La grazia cui si accosta a Cristo, rimanda di lei una immagine pudica e certamente più pura e umana rispetto a come non venga percepita nell’immaginario collettivo. Il travaglio interiore di ogni protagonista viene messo in scena grazie alla potenza delle voci e del rock, soprattutto gli ultimi sette giorni della vita di Cristo, trasposti su un piano “umano troppo umano” che consente a ciascuno spettatore di sentirsi, per un attimo, contemporaneo a Cristo.
Assente ormai tutta la carica irriverente con cui andò in scena, allora come evento rivoluzionario. Oggi di Jesus Christ Superst resta la poliedricità dell’orchestra e la professionalità dei protagonisti ormai diventati personaggi al di là del solo Ted Neeley. Sfiora il kitsch la figura di Erode, perché nonostante iperbolicamente porti in scena un personaggio molto controverso della storia della religione, il gioco dell’omosessualità lasciata intendere e trasparire con vesti e pose esuberanti risulta ormai datata e non certo comica ma a volte quasi offensiva.
Equilibrato Ponzio Pilato ma poco espressivo rispetto invece ai sommi sacerdoti Hannas e Caifa interpretati rispettivamente da Paride Acacia e Francesco Mastroianni che formano un duetto complementare nei diversi accordi canori; i due andando oltre la sola performance musicale raggiungono, come unici di tutto il cast, il livello di attori completi che calcano il palco con leggerezza e sicurezza. Un ruolo tutt’altro che marginale, il loro, per scavare dentro la psicologia di Giuda che si lascia convincere proprio grazie alla viscida maestria di sacerdoti ebrei da Acacia e Mastroianni magistralmente interpretati. Giusta intensità emotiva e scenografia minimal, che soprattutto per questo che riesce a regalare intensità al dramma del traditore vittima delle sue stesse azioni, quella del suicidio di Giuda.
È impossibile non chiedersi oggi cosa riesca a rendere ancora presente sulla scena dei teatri mondiali questo musical. Al di là della grandezza del contenuto evangelico, della presenza del protagonista originale, certamente le acrobazie e le coreografie uniche, il rock e le musiche pongono Jesus Christ Superstar come esempio scenico insuperato e insuperabile. Il carico emotivo e sinfonico dello spettacolo non spezza il pathos con il pubblico sempre con il fiato sospeso durante ogni scena. Stentato il tentativo di regalare contemporaneità all’opera attraverso lo scorrere delle immagini durante le trentanove frustate inflitte a Gesù che rappresentano Moro, la strage di Bologna, o Aylan e che cercano a tutti i costi di rintracciare un Gesù dei giorni. Il risultato, infatti, potrebbe non accontentare, politicamente, socialmente e infine religiosamente tutti gli spettatori, risultando, infine, banale. Se viste in tutta la loro carica di umanità queste immagini, invece, vogliono essere un richiamo alla ricerca di umanità a partire non dalla vita di Gesù ma da quella di Giuda: il primo vero traditore dell’amore umano.
Piparo ha avuto la destrezza di riuscire a rendere il suo musical un’opera cult che si presta all’applauso o alla critica e che nel suo essere figlio del suo tempo è ormai pietra miliare per addetti ai lavori o per semplici appassionati. L’ultima chicca che rende lo spettacolo da vedere almeno una volta nella vita la presenza dei musicisti dell’orchestra diretta da Federico Zylca dal vivo.