Servire e accogliere, lo stile tenero di Dio

di Fra Giuseppe Maggiore 

Dal Vangelo secondo Marco(Mc 9,30-37):  In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.
Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».
E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

In un mondo dove tutt’ predicano la non accoglienza parlando alla pancia delle persone, Gesù ancora una volta ci parla di accoglienza rivolgendosi al cuore degli uomini. In un contesto quello nostro dove tutto si fa per accrescere la propria immagine, dove si fa di tutto per scalare i sondaggi, dove si attacca facilmente l’altro per avere consensi, dove per una manciata di mi piace su Fb si accendono vespai, Gesù ci dice: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti».

Mentre noi pensiamo ad un “dio” onnipotente onnisciente sognando di essere anche noi nel nostro piccolo alla pari di questo “dio” ad nostro uso e consumo, Gesù ci consegna tre nomi che fanno a pugni con il nostro modo di pensare, ci consegna il suo modo di essere Dio, ultimo, servitore e bambino. Quante volte ci è capitato di raccontare un nostro problema ad un amico fidato e in cambio di essere accolti e ascoltati l’amico ci scaraventa le sue frustrazioni, non ci ascolta, non prende in considerazione ciò che noi stiamo mettendo nelle sue mani.

La stessa cosa capita a Gesù. Sta confidando ai suoi migliori amici che tra poco sarà ucciso,ed ecco che loro non lo ascoltano neppure, si disinteressano della tragedia che incombe sul loro maestro e amico, tutti presi soltanto dalla loro competizione, piccoli uomini in carriera: chi è il più grande tra noi? Non hanno capito nulla di Gesù. Ci viene da pensare come si può camminare accanto a Gesù, vederlo, parlagli, ascoltarlo, mangiare assieme a lui e poi far finta di nulla appena dice che rischia la vita, ma sono davvero egoisti questi discepoli!

Credo che noi non siamo così diversi dagli discepoli li sappiamo imitare bene, anche noi lottiamo per i primi posti e ci dimentichiamo che anche accendere le candele dell’altare è un servizio e non un potere. Prese un bambino, lo pose in mezzo, lo abbracciò e disse: chi accoglie uno di questi bambini accoglie me. È il modo magistrale di Gesù di gestire le relazioni: non si perde in critiche o giudizi, ma cerca un primo passo possibile, cerca gesti e parole che sappiano educare ancora. E inventa qualcosa di inedito: un abbraccio e un bambino.
Tutto il vangelo in un abbraccio, un gesto che profuma d’amore e che apre un’intera rivelazione: Dio è così. E papa Francesco, a più riprese: «Gesù è il racconto della tenerezza di Dio», un Dio che mette al centro della scena non se stesso e i suoi diritti, ma la carne dei piccoli, quelli che non ce la possono fare da soli.
Poi Gesù va oltre, si identifica con loro: chi accoglie un bambino accoglie me. Accogliere, verbo che genera il mondo come Dio lo sogna.
Il nostro mondo avrà un futuro buono quando l’accoglienza, tema bruciante oggi su tutti i confini d’Europa, sarà il nome nuovo della civiltà; quando accogliere o respingere i disperati, che sia alle frontiere o alla porta di casa mia, sarà considerato accogliere o respingere Dio stesso.
Quando il servizio sarà il nome nuovo della civiltà (il primo si faccia servo di tutti).
Quando diremo a uno, a uno almeno dei piccoli e dei disperati: ti abbraccio, ti prendo dentro la mia vita. Allora, stringendolo a te, sentirai che stai stringendo fra le tue braccia il tuo Signore.

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