di Palmira Mancuso – Il business dello sbaraccamento, col suo carico emotivo che ha annebiato la vista anche ad alcuni tra i più lealmente attenti ai bisogni della gente, è stato alimentato, come ogni populismo che si rispetti, da notizie particolarmente efficaci sull’immaginario collettivo, atte a spingere l’opinione pubblica verso una incondizonata fiducia nell'”eroe che salva il mondo dal male”.
Dopo l’emergenza sanitaria, testimoniata da un caso di asbestosi (che nel frattempo, di agenzia in agenzia è stato declinato al plurale) torna prepotente il “mito” delle baracche post terremoto, quasi a testimoniare la centenaria indolenza dei messinesi, immobili su un destino ineluttabile.
E invece la storia ci dice altro. Ci parla di speculazioni, di ricatti elettorali, di controllo del territorio e gestione dell’edilizia pubblica e cooperativistica. Ma soprattutto ci dice come le baracche “post-terremoto” non esistono più.
A dare un contributo scientifico per smontare una delle ultime fake news sullo Stretto che hanno sostenuto la richiesta della dichiarazione dello stato di emergenza, approvato dalla giunta regionale, è l’architetto Nino Principato, cultore della storia della città di Messina, che in una nota sui social, restituisce verità ad un racconto ormai manipolato ad uso e consumo di certa politica.
“Ancora si parla con superficialità e incompetenza delle “baracche” di Messina risalenti all’epoca del terremoto. E’ assolutamente falso e frutto di ignoranza dell’argomento affermare che le “baracche” realizzate a partire dal 1909 e previste nel piano regolatore redatto dall’ing. Riccardo Simonetti, sono ancora oggi le attuali baracche di Messina. Lo ha dichiarato, a Bruxelles, perfino l’eurodeputata piddina, siciliana e giornalista, Michela Giuffrida, che ha detto: “6.400 persone vivono in situazione di estremo degrado a ben 110 anni dal terremoto”.
Le costruzioni in legno del dopo 1908, purtroppo, non esistono più, le uniche due (una all’Annunziata alta e l’altra nella salita Tremonti, brandello superstite dell’eccezionale ex Villaggio Svizzero) le ho vincolate io – ricorda Principato – nel Piano Regolatore vigente quali manufatti di interesse storico-documentario e perciò non demolibili ma da restaurare. La baracche di oggi, che il Sindaco on.le De Luca farà scomparire dopo sessant’anni di inerzia di tutti i sindaci che lo hanno preceduto – conclude l’architetto – sono delle bidonville che nulla hanno a che vedere con le belle costruzioni in legno delle origini”.
Intanto gli occhi sono puntati proprio sulla”corsa” allo sbaraccamento, e il Fronte Popolare Autorganizzato – Si Cobas, che da anni da voce ad alcune delle fasce più deboli della popolazione cittadina sui temi dell’emergenza abitativa, interviene annunciando una conferenza stampa il prossimo 28 settembre, alle 17.30 presso la sede del Sì Cobas in via C. Battisti n.191.
“Ci troviamo d’accordo sulla requisizione temporanea degli immobili sfitti dei privati, purché sia seguita da un crono-programma che garantisca l’assegnazione di una casa popolare definitiva – dichiara la sindacalista Valentina Roberto – Ci opporremo fermamente a tutte le soluzioni precarie che prevedono strutture alberghiere e ipotesi di affitto, in quanto il rischio che si corre quando delle istituzioni stipulano questo tipo di accordi con i privati, è principalmente sperpero di denaro pubblico a fondo perduto, che non serve a nessuno, se non ai privati stessi”.
Questa velocità, come unico emblema di efficienza, con la quale si sta procedendo allo sbaraccamento in preda all’emergenza, rischia di far perdere di vista la finalità nobile dell’obiettivo, ovvero, il benessere dei cittadini che vivono nelle baraccopoli. E a destare preoccupazione sono anche le dichiarazioni del Presidente della neonata A.Ris.Me Marcello Scurria, il quale, pochi giorni fa ipotizzava un PIANO B, che per il sindacato non è altro che un rimescolare di proposte e soluzioni precedenti, già scartate.
La storia delle baracche di Messina è insita nella questione sisma 1908 e bombardamenti a cui è seguito il Piano Regolatore Generale del 1911 che stravolge le particelle e permette l’acquisizione al 90% delle aree del Centro Storico agli Enti Statali, al Vaticano e all’Aristocrazia Cittadina.
Conseguentemente, si passa alle casette post terremoto nei quartieri suburbani a 5 – 10 km dal centro storico, dove viene emarginato il proletariato sopravvissuto al terremoto e ai bombardamenti. Le favelas crescono attorno alle casette post terremoto sia a nord che a sud del centro storico.
Dodici mila addetti FS trovano casa tra Viale Europa e Provinciale.
INCIS: Case per impiegati dello Stato, trovano collocazione tra Piazza Cairoli e Torrente Zaera.
GESCAL: Case per insegnanti e altre categorie di impiegati, versano contributi congelati e mai utilizzati per oltre 50 anni.
La Città, prima concentrata tra Torrente Zaera e Torrente Boccetta, si trasforma in Metropoli con oltre 10 quartieri suburbani. Provinciale è già periferia e il proletariato deportato ai margini, è privo di ogni servizio.
In 110 anni, le favelas sono state utilizzate come merce di scambio e di consensi elettorali. Adesso, come sottolineato da più parti, è necessario che ogni abitante delle baraccopoli abbia gli strumenti critici per vigilare su tutto il processo di sbaraccamento.
“Così come temevamo – continua Valentina Roberto – lo sbaraccamento è già iniziato, ma a procedure inverse, ovvero, prima vengono sgomberati, e poi le promesse di soluzioni provvisorie, ma che ancora tardano ad arrivare”.