L’oscillazione dei prezzi del bitcoin continua a tenere banco nel mondo finanziario. Come è possibile, che una criptovaluta che, il 20 dicembre 2017, aveva raggiunto i 20.000 dollari, ora sia crollata a quota 6,500? Per rispondere a questa domanda bisogna partire dalla definizione di bitcoin, la creatura di Satoshi Nakamoto. Per quanto il bitcoin venga considerato da molti la moneta del futuro non ha ancora le caratteristiche peculiari di quest’ultima. Il suo valore è solo intrinseco e non nominale. Ciò significa che dipende più della normale moneta cartacea, da fattori esterni.
Uno dei problemi legati ai bitcoin è che non può essere usato come sistema di pagamento universale. Il bitcoin, però, rimane una forma volontaria di transazione e, dunque, non regolamentata. Detto in altri termini, un’operazione finanziaria ha valore solo se due persone sono d’accordo nel darglielo. Accettare il pagamento in bitcoin diventa, quindi, una scelta personale ed autonoma. Il primo paese al mondo a riconoscere il bitcoin come una moneta stato il Giappone nel 2014. Da allora la situazione non si è smossa come molti si auguravano. Esistono nazioni, come Nepal, Bolivia e Bangladesh, dove viene considerato illegale. È proprio il problema di mancanza di una visione comune tra gli stati uno dei fattori capaci di frenare l’evoluzione della criptovaluta.
Il secondo fattore che rischia di mandare a monte il sogno dei bitcoin sta nella lunghezza delle transazioni. “In media ha una durata di 10 minuti. È stato inoltre calcolato che ogni transazione porta a consumare circa 215 kilowatt-hours (Kwh). Alcuni esperti hanno fatto delle considerazioni: in America, il consumo domestico medio è 901 KWh al mese”, come si legge su Criptomag.it. Questo significa che un versamento in Bitcoin corrisponde al quantitativo di energia necessario per mantenere una casa, con tutti i suoi elettrodomestici, per una settimana circa. Il problema legato a costi e velocità delle transazioni è una delle questioni più scottanti dell’ultimo periodo.
Un altro fattore che mina la credibilità del bitcoin è, paradossalmente, uno dei suoi punti di forza. Da quando è stato immesso sul mercato, infatti, si è sempre detto che i bitcoin hanno un livello di sicurezza superiore agli altri. I recenti furti di cui è stato protagonista hanno smentito questa teoria. È stato calcolato che dal 2011, la criptovaluta abbia subito 56 attacchi per un totale di 1,63 miliardi di dollari. Ora, dato che il bitcoin è un’edizione limitata pari a 21 milioni di esemplari, è chiaro che il rischio concreto è quello di creare un sistema oligarchico.
Lo scorso anno ha fatto il giro del mondo la truffa subita dal co-fondatore di Apple, Steve Wozniak che, tramite una truffa, ha perso sette bitcoin per un valore complessivo di 74.000 dollari. Se le transazioni non sono sicure è palese che lo stesso sistema elaborato attraverso la blockchain viene a mancare.
È chiaro che se la criptomoneta di Nakamoto non risolverà queste problematiche, il sogno del suo creatore di farne la moneta del nuovo millennio rischia di svanire.