di Frà Giuseppe Maggiore – Racconto una storia di paure e della vittoria su di esse. La storia che gira intorno alla nascita di una bambina in una famiglia di migranti. E la nascita è il trionfo dell’operazione “solidarietà” piuttosto di altre promosse e diffuse al momento.
È da giorni che cerco di scrivere questo articolo, ma non trovo il modo di iniziare, scrivo e cancello cercando di capire quale sia la forma migliore per offrirvi la notizia, mentre qualcosa dentro mi dice “non si inorgoglisca il tuo cuore, ma racconti le meraviglie del Signore”.
Riflettendo, proprio su ciò che di bello ha operato il Signore, mi viene in mente una frase del Vangelo, che poi troviamo in molte parti della Sacra Scrittura, con la quale il Signore esorta a non avare paura: “non temere” e ancora “non abbiate paura”.
Questa storia è una vittoria sulla paura, anzi sulle paure che la vita presenta, e che sono di ostacolo al viverla bene, insieme ad ogni fratello o sorella che incontriamo lungo il nostro cammino, la vittoria sulle paure che non ci fanno conseguire gli obiettivi che ci siamo prefissati.
Ed è proprio Diana che, col suo nascere circa una settimana fa, ci insegna a vincere la paura di affrontare una realtà che non è per nulla facile, in maniera particolare per lei figlia di immigrati afgani. I suoi genitori sono Nur e Sharifa, due giovani provenienti dalla provincia di Gazni distante circa 150 km da Kabul.
Edmond Haraucourt, scrittore francese nella sua Canzone dell’addio scriveva “Partire è un po’ morire rispetto a ciò che si ama poiché lasciamo un po’ di noi stessi in ogni luogo ad ogni istante.”
Credo che per il giovane Nur, anche se sin da bambino ha conosciuto la guerra, i Talebani e successivamente l’Isis, non sia stato facile lasciare la propria famiglia, la sua ragazza e il suo Paese, per avventurarsi in un viaggio, per niente facile in quanto colmo di pericoli, per raggiungere l’Italia. Così nel 2011 decide di partire e attraversa, nascosto insieme ad altri dentro un bagagliaio di un autobus, l’Iran che è vastissimo e finalmente raggiunge la Turchia … altro che pacchia e crociera!
Arrivato in Turchia, aspetta il turno per passare in Grecia su un barcone, per poi trovare il modo di raggiungere l’Italia. Come fare? Determinazione, coraggio e tanta fede. Inshallah, se Dio Vuole, ed è proprio a Dio che Nur affida la sua vita.
Italia, e ora dove andare, cosa fare? Tramite amici trova un lavoretto nei pressi di Siracusa, poi si sposta verso Agrigento, non sa dove dormire, ma ancora una volta la Provvidenza gli viene in aiuto, viene mandato a Favara, dove i frati hanno fatto del loro convento una fraternità-famiglia, chiamata “Fraternità Tenda del Padre Abramo” dove ragazzi di ogni nazionalità, anche italiana, vengono ospitati gratuitamente ed aiutati ad integrarsi nella società attraverso il lavoro.
Durante i quattro anni di permanenza presso la Tenda di Abramo, Nur non solo si rende utile in convento, ma trova lavoro e, dopo aver messo da parte qualche soldo, decide di tornare in Afghanistan e sposare Sharifa. Il giovane però, di lì a poco, è costretto a rientrare in Italia in quanto il suo permesso di soggiorno sta per scadere, lasciando per l’ennesima volta la propria terra e i propri affetti.
Nel frattempo, Papa Francesco invita tutte le diocesi e le comunità ecclesiastiche ad ospitare una famiglia di immigrati, e la proposta non lascia indifferenti delle giovani coppie di Gangi che, tornando da Assisi con la marcia francescana organizzata dai frati Minori di Sicilia per le famiglie, decidono di rivolgersi alla Caritas Diocesana di Cefalù per avviare le pratiche burocratiche per ospitare una famiglia di profughi. Intanto, le famiglie che aderiscono al progetto aumentano, ma la Caritas di Cefalù, così come altre Caritas d’Italia, rivolgendosi alle varie questure e prefetture, incontrano difficoltà burocratiche e organizzative, per la mancanza di nuclei familiari compatti e la famiglia di profughi da ospitare non arriva. Imperterriti e fermi nella loro decisione di voler concretizzare la proposta di Papa Francesco, alcuni di loro, essendo inseriti nel mondo francescano, si rivolgono a me, allora ancora responsabile della Tenda di Abramo. Mi attivai subito, mi rivolsi all’ufficio immigrazione, ma mi scontrai con le stesse difficoltà avute dalle famiglie gangitane.
Fu così che pensai a Nur lontano dalla sua Sharifa, era l’occasione giusta per farli ricongiungere! La proposta fu immediatamente accettata da una famiglia e Nur fu accompagnato a Gangi e, accolto come un fratello, iniziò a lavorare come pastore, fu messo in regola, e avendo già un contratto di affitto si avviarono le pratiche per il ricongiungimento familiare. Non fu facile, le famiglie però non si scoraggiarono e convinte che stavano davvero ospitando Cristo fecero miracoli, interpellarono anche il cappellano dell’Ambasciata Italiana in Kabul, finalmente si riuscì ad ottenere il visto per Sharifa e Nur poté andare in Afghanistan a prendere sua moglie.
Dicevamo all’inizio che il Signore invita coloro che chiama a non aver paura.
Il Signore si rivolge quotidianamente ad ognuno di noi e “urla” nell’intimo del nostro cuore per rompere la nostra sordità e ottusità: “non avere paura io sono accanto a te sempre”.
Venti famiglie gangitane, cioè quaranta persone più o meno giovani, con i loro figli hanno sfidato ogni logica umana per osservare alla lettera ciò che Cristo dice nel Vangelo “Ero straniero e mi avete accolto”.
Famiglie che seguono la spiritualità francescana, appartenenti alle varie realtà parrocchiali di Gangi, ma che non si identificano con nessun gruppo, che si autotassano secondo le loro possibilità, che pregano, che amano stare insieme, che ascoltano la Parola, ma soprattutto la vivono amando ogni fratello. Grazie al loro amore vissuto cristianamente, Nur è riuscito a formare una famiglia. Dal suo arrivo e per tutto il tempo della gravidanza Sharifa è stata coccolata e custodita come una figlia e una sorella. Il giorno del parto il reparto maternità dell’ospedale di Nicosia era invaso da famiglie gangitane che andavano a conoscere la loro piccola “nipotina” afghana, Diana.
Oggi si parla di non accoglienza più che di accoglienza, di chiusura dei porti… ma credo che la vera chiusura la sta operando l’uomo chiudendo il cuore e nascondendosi dietro le proprie paure e insicurezze.
Gangi, una piccola cittadina di 6677 anime, borgo più bello d’Italia credo che sia anche il borgo più accogliente, un’accoglienza che parte dalla gente semplice che per vivere si alza presto la mattina e va a lavorare. Questa gente ha capito il miracolo dei pani che non è tanto un miracolo, ma è condivisione. “Date voi stessi da mangiare”, così esorta Gesù i suoi discepoli davanti ad una folla che non aveva nulla da mangiare.
L’accoglienza, la condivisione, la fraternità è possibile se si ascolta la voce di Colui che ci esorta a non avere paura del diverso, paura delle difficoltà, paura di non saper amare.
La storia di Nur non è un caso isolato, non è il solo “straniero” ospitato a Gangi, perché queste famiglie grazie al frutto dei loro sacrifici e senza alcun contributo da parte di nessun ente, neppure ecclesiastico, sostengono altre famiglie straniere, senza dimenticare le italiane, perché la fraternità non ha confini.
Questa famiglia di Cristo, composta da diverse famiglie di questo piccolo centro madonita, ci insegna che la vera fede è quella seguita dalle opere… ero straniero e mi avete accolto.