Di Clarissa Comunale– “Quando mio padre mi fece – era nel trenta – di sicuro quella notte pensava alla bandiera rossa. E nacqui io”. È la storia di Concetta La Ferla, attivista comunista di Caltagirone dove fondò negli anni ’60 la sezione femminile del Partito Comunista, raccontata nello spettacolo Di Concetta e le sue donne, tratto dall’omonimo romanzo di Maria Attanasio (ed. Sellerio, 1999), andato in scena al Cortile Calapaj, inaugurando la rassegna teatrale “Il Cortile”, con la regia di Nicoleugenia Prezzavento e la produzione di Nave Argo.
“Spavalda e leonessa” Concetta è da isolare, insultata e invisa agli altri del suo partito, diventa il motore di una lotta di classe femminile – ma non femminista – che si propone di portare a Caltagirone la rivoluzione proletaria.
È il 1993 quando Concetta La Ferla decide di incaricare Maria Attanasio alla divulgazione della sua storia, una storia che possa essere da esempio alle nuove generazioni. Una storia di lotta, impegno politico e passione. Sono gli impulsi a muovere le fila di una vita che, sin dalla nascita, è dalla parte dei “compagni”, nutrita dall’educazione paterna antifascista. Il discorso di Mussolini del ’40 che risuona con tre rintocchi funebri rivela non solo l’avvento della guerra e, quindi, della morte, ma anche il dovere morale di Concetta di crescere nella difesa dei valori familiari, valori che crescevano tra le stanze segrete di casa sua, a protezione dei primi compagni di partito. Un retrobottega che si smantellava al suono del fischiettio di Concetta all’arrivo dei carabinieri.
È una storia che racconta la paura dei bombardamenti del ’43 e l’irrefrenabile bisogno di preservare la vita, anche quella del nemico, il tedesco che scappava dalla morte.
È una storia che racconta la dialettica politica, i primi discorsi ed il primo amore, Pippo Sforzo, l’uomo dalla carnagione chiara e dagli occhi azzurri, che conquista Concetta con il suo corteggiamento politico durato sei anni ed il ballo romantico del primo maggio del ’48.
Poi, di colpo, manca l’aria e la musica si ferma. La morte del padre nel ’60, la perdita della figlia ancora neonata, il silenzio e le lacrime che scorrono veloci per cinque anni, la passione per il pianoforte improvvisamente abbandonata.
È il vento americano ed europeo giovanile a risvegliare Concetta dal triste sonno, un vento che soffia forte fino a Caltagirone e la invita a mettersi di nuovo in gioco. Prima, con l’incarico di tesseramento, poi con le riunioni con le donne del luogo che lamentano tutti i disagi del periodo (non tanto dissimili ai nostri odierni): l’acqua, l’elettricità, la posta. “I manichini di salotto”, ovvero i dirigenti del partito, però, sono rivelatori della tarantella politica così ben nota ancora oggi: queste donne riunite sono una vera e propria “malattia contagiosa”, lottano e si dimenano contro i “culichiatti”, battono il pugno e vanno alle mani; addirittura, grazie alla federazione nazionale di Roma, si riuniscono in una sezione femminile autonoma riconosciuta dal partito. Ma la donna per Concetta, che riesce anche a sedersi tra gli scranni del consiglio comunale di Caltagirone, non ha bisogno di diritti alla pari anche sul piano familiare e sessuale: nessun femminismo, nessuna difesa di autocoscienza, ma impeto e difesa dei diritti dei più disagiati.
Dopo il ’71, però, ritorna il silenzio e le lotte politiche interne favoriscono la fuoriuscita delle donne di Concetta dal Partito prima, e la fine della sezione poi, fino agli anni in cui Concetta decide di raccontarsi a Maria Attanasio, anni in cui “mancano le energie di mente e di corpo” e manca quella voglia di parlare alle donne delle cose più semplici, come di un rossetto e di quella femminilità che diventa differenza, rivoluzione, libertà, grandezza.
La luce fioca rossa illumina tutto ciò che come il sangue scorre nell’anima di Concetta, ben interpretata e appassionata, anche se con piccole imprecisioni, da Rita Salonia, che a fine spettacolo esclama il bisogno attuale di avere il coraggio di schierarsi ed esporsi, la musica rudimentale e quasi primitiva, insieme ai canti febbrili della polistrumentista Simona di Gregorio, toccano le corde della storia, quella storia in cui le donne continuano la loro rivoluzione. E in un attimo la Sicilia diventa l’Iran, diventa l’attivismo femminile e il costante tentativo di partecipare alla politica per cambiare il mondo, per rinnovare le idee, per capovolgere gli occhi. In un attimo la Sicilia e l’esempio di Concetta La Ferla, il cui racconto è “poetico, tumultuoso e corale”, diventa la storia delle donne che ancora credono nella solidarietà e nell’emancipazione.
Secondo appuntamento al Cortile Calapaj lunedì 23 luglio con Camurria, di e con Gaspare Balsamo.