di Giuseppe Contarini – Tutto a posto, dunque…. Messina torna al Medioevo, i giovani migliori continuano ad abbandonarla, e quindi consegnarla alla mediocrità, alla superficialità, alla mancanza di qualsiasi prospettiva per il futuro – Padroni, massoni, urlatori, giocatori di poker senza mai un asso in mano: la fine della Storia di Messina – L’avvento di un nuovo ciclo, sociale, politico, culturale, per Messina, ha finito oggi di esistere – Un nuovo ciclo per Messina inteso come processo rivoluzionario, tale da rappresentare un cambiamento categorico nella storia della città di Messina, cambiamento categorico nella storia della città di Messina inteso come processo rivoluzionario, iniziatosi cinque anni fa con Accorinti/sindaco è giunto miseramente al suo declino più totale – Da quel mondo incantevole retto da una costellazioni di valori comuni, si è giunti attraverso il voto espresso dai cittadini messinesi per il nuovo sindaco di Messina ad un nichilismo cittadino – L’azione trasformatrice per Messina pare non sia più plausibile – Ma intanto io continuo a crederci –
Oggi Sala Laudamo ore 21.00 – AFFABULAZIONE – di Pier Paolo Pasolini – Con queste parole Giovanni “Gionni” Boncoddo annuncia il suo ultimo lavoro registico, “Affabulazione” di Pier Paolo Pasolini, parole che io uso per fare subito mezzo articolo, cosi mi tolgo il pensiero, non ho idea di cosa si possa scrivere su un lavoro di Gionni Boncoddo, scritto da Pasolini, sono pazzi, di solito scrivo articoli per riposarmi e stare tranquillo, non per fondere il mio cervello in riflessioni da intellettuale del sottoproletariato, o della bassa borghesia, e poi credo che gli unici a poter criticare o recensire Boncoddo e Pasolini, sono proprio Boncoddo e Pasolini, uno purtroppo non c’è più, l’altro invece, combatte contro i soliti Mulini a vento, niente troppo difficile, non posso scrivere nulla a riguardo.
Affabulazione invece è una messa in scena sicuramente esemplare, necessaria, ridotta al minimo essenziale, nessuna azione di troppo, nessuna sovrastruttura, un attore, anzi no, un uomo, una vita, la sua sedia, il suo costretto spazio scenico, che lo rende fermo, immobile, privo di ogni superfluo movimento, e poi, la voce, la parola, detta, sempre distaccata da sotterfugi piscologici, irrilevante in questo caso il livello recitativo, (anche perché, Pasolini non credo che lavorasse con attori), c’è un distacco totale dalle emozioni, un ritmo costante e alienante, distaccato anche nei dialoghi, che crea la suggestione; un teatro di parola dunque, cosi definito dagli intellettuali del tempo, o forse da Pasolini stesso, non lo so, io non lo definirei cosi.
La parola Pasoliniana è difficile, è elitaria, il livello che Pasolini raggiunge nella sua scrittura è troppo alto, non comprensibile a chi non ha un suo personale bagaglio culturale e intellettuale, non arriva a chi non ha una certa predisposizione a quel tipo di ascolto, io per esempio, mi sono perso molte di quelle parole dette. Quello che arriva però è la suggestione, perché quello che si crea per tutta la durata della rappresentazione è l’atmosfera del disagio borghese, del confitto padre figlio, delle indecenti chiusure mentale delle classi di potere, delle famiglie bene, degli intellettuali. Dinamiche mai risolte che continuano a esistere ancora oggi, Pasolini ti costringe a stare attento pur essendo repulsivo e violento nel testo, ti costringe ad un obbligatorio lavoro mentale, di cui, oggi si è un poco persa l’abitudine.
Giovanni Boncoddo è la persona che più di tutti, fra quelle che io conosco, che si avvicina all’essere Pasolini, l’unico a possedere i mezzi e la preparazione per mettere in scena uno spettacolo, se non identico, molto simile a come penso lo avrebbe fatto Pasolini stesso. Ogni attore sul palco è stato scelto non a caso, ognuno giusto nel suo ruolo e nel suo contesto, tutto era asciutto per quello che doveva essere, uno spettacolo asciutto fino all’essenziale, nonostante fuori piovesse come se non ci fosse un domani, preciso nel contesto, anche il disegno luci creato da Vincio Siracusano. Per questo lavoro furono addirittura chiamati due attori professionisti, che da anni lavorano con Boncoddo, di cui uno, Ferruccio Ferrante da Roma, appassionato del mezzo freddo con panna, (Roma se la sogna la panna artigianale nei bar), fece anche tre interventi durante lo spettacolo, già che c’era, interventi che non hanno ne tolto ne aggiunto nulla alla rappresentazione ma servivano solo per dire a Pasolini, che questo è un lavoro di Gionni Boncoddo e lui, Gionni, fa quello che vuole; poi Lucilla Mininno, attrice bravissima di grande esperienza che apre magnificamente la scena con eleganza e talento puro, ma poi basta, il resto forse superfluo, ma anche qui, se la vede Gionni tanto lui è contrario al pubblico, di conseguenza io me ne disinteresso.
Tutti gli attori stavano in scena assorti e coinvolti nella loro condizione di personaggio, essenziale per dare forza ad ogni suono e movimento, ed era bello vederli li, fermi, per un ora e mezza, totalmente dentro questa bolla di pura teatralità, bolla che spero possa crescere e avvolgere tutta la città, erano veramente molto belli, e poi Tony Canto, delicato come sempre nei suoi interventi musicali.
Nulla da aggiungere dunque su uno spettacolo che nel preciso stile Pasoliniano ha detto ciò che era giusto dire oggi, a Messina, città che più di ogni altra ha dimostrato essere Pasoliniana nei contenuti, sfuggendo da Accorinti per rifuggiarsi in De Luca o Bramanti, di che parliamo? In questi anni si è visto più Teatro nel consiglio comunale e nei comizi che nelle rassegne di prosa, e tanto altro se ne prospetta all’orizzonte.
Giovani allievi di tutte le scuole di recitazione UNITEVI, lasciate le scuole e iscrivetevi al Municipio di Messina, li, in attesa di nuovi maestri di Teatro, leggete gli scritti di Giovanni Boncoddo, perché un cambiamento da qualche parte deve arrivare, e se non arriva dall’ignoranza popolare facciamola arrivare dalla conoscenza e dall’arte, e “Se non capite, andate via”, tanto, “Hanno detto che Godot verrà di sicuro domani – per cui non c’è altro da fare che aspettarlo esattamente li dove sei, guai a mettersi a riparo da lui”.
Le foto di scena sono di Giuseppe Contarini