di Marina Pagliaro – Una campagna elettorale in cui a essere prima di tutto assenti sono stati i giovani. Si potrebbe anche obiettare che il più giovane assessore è stato quello designato da Emilia Barrile, che c’erano millennials candidati alle circoscrizioni e in qualche caso anche al consiglio comunale, o che il più giovane consigliere di Forza Italia in Consiglio comunale ha 27 anni. Ma la questione non si misura sulle carte d’identità ma sulle voci, rauche, di quella generazione che dai 18 ai 28 è paurosamente stata zitta in una campagna elettorale che avrebbe richiesto soprattutto il loro intervento, al di là e molto prima del voto dentro l’urna.
Non sono bastate le iniziative a sostegno o le riunioni di presentazione. Né tanto meno è stato utile rispondere ai candidati sui social network. Non c’è stata spina dorsale e spinta da parte di quell’elettorato appena entrato in possesso della scheda a chiedere né la consapevolezza di avere tutto il diritto a farlo. Così si è lasciato che ogni candidato affidasse a slogan e frasi fatte il tema “gioventù” con apprensione per “quelli che vanno via” e senza avere un contraltare da parte di “quelli che restano”. I neoelettori sono stati incapaci a costringere i “politici” al vero confronto con loro.
Perché è vero che Cateno De Luca ha organizzato una lista di “Giovani per Messina” con l’intento di raccogliere i consensi di questa fascia d’età. E sicuramente anche Dino Bramanti ha avuto modo, attraverso il suo “Forum dei giovani”, di dialogare con i ragazzi messinesi ascoltandone le istanze. Ma sono state esperienze gestite attraverso una visione politica di breve termine, con la scadenza del 10 giugno e finalizzata alla ricerca dei voti. L’associazionismo spontaneo che nel corso di queste settimane si è accostato ai candidati, come il caso di “Generazione R”, o di “Puli-AMO Messina”, o di “Fieri di essere” o ancora “Fare per cambiare”, ha trovato sì delle modalità di partecipazione al dibattito elettorale ma con il rischio, adesso, di non proseguire nel solco di una esperienza che deve coinvolgere la maggior parte dei giovani in maniera trasversale. Serve un vero organismo politico giovanile che sia presente sul territorio a cui ogni sindaco, ogni consigliere, dovranno giorno per giorno rendere conto per qualsiasi scelta del consiglio. In altri termini, l’occhio critico su chi vincerà le elezioni e siederà in consiglio per i prossimi cinque anni deve adesso costituirsi e mantenersi. E a farlo devono essere soprattutto i giovani, che sono chiamati adesso davvero a prendere posizione su qualsiasi decisione della futura amministrazione, se hanno davvero a cuore il loro futuro e quello della loro città.
Se oggi il duello è fra chi ha raccolto il voto di pancia e chi ha raccolto il voto di servizio è anche perché la maggior parte dei giovani ha votato non su basi di coscienza civica, ma secondo le vecchie logiche del “dare avere” apprese e tramandate di padre in figlio. A dialogare con i candidati sono stati soltanto quei ragazzi che sono iscritti all’università, tornano a casa a pranzo trovandosi la tavola apparecchiata e poi la sera possono divertirsi passando da un locale all’altro. Ed ecco che l’unico fantasma politico rimasto è quello di chi esercita la politica accostandola ad altre “passioni”, senza sentirla mai davvero come stimolo impellente e prioritario su tutto il resto.
Il disinteresse totale dei giovani verso ciò che li circonda conferma il loro ingabbiarsi sempre più evidente nel culto del sé, concentrati nella creazione di una propria personalità, manchevole dello spirito di comunità che li costringerebbe sì a uscire dall’alienazione del proprio “io”. Si diventa compagine sociale quando ci si stringe attorno a un lutto o quando grandi eventi riescono a intercettare in maniera trasversale l’approvazione di tutti. Ma come il sentimento di tristezza e angoscia può riunire grandi numeri, anche la politica dovrebbe farlo, diventando possibilità pratica di costruire insieme luoghi di circolazione di idee. Anche contrastanti, anche non condivisibili.
Ma non è stato questo il caso. A esser stati avulsi dal contesto politico delle ultime settimane sono stati i giovani, privati e privi di quella sana ingenuità che può essere capacità di riunirsi e possibilità di appassionarsi impegnandosi concretamente per la propria città. Non hanno avuto, i nostri giovani, il coraggio davvero di “metterci la faccia” e la determinazione per farsi ascoltare. Il loro diritto a chiedere, ai politici, di essere veramente rappresentati e prima di tutto ascoltati è stato relegato al solo rumore di tastiere impazzite. Se all’ agorà si è sostituito facebook allora ecco che la politica è diventato soltanto un fantasma.
E fintantoché non ci sarà a Messina una voce politica giovanile, lontana dalla mera politicizzazione in vista delle elezioni, che sappia davvero entrare a Palazzo Zanca e battere i pugni contro le porte per portare avanti istanze civiche di interesse sociale, questa sì che sarà un città solo per vecchi.