di Giuseppe Contarini – “Lo scirocco fa parte della scenografia, per rendere più difficoltoso l’ingresso (ride)” ci dice Tino Caspanello, autore teatrale dal 1989 e riferimento con Spiro Scimone, della drammaturgia messinese. Lo abbiamo incontrato al Teatro dei Tre Mestieri in occasione del debutto del suo nuovo spettacolo “Don’t cry Joe” in scena oggi e domani.
SCHERZI A PARTE, TU VIVI DI QUESTO MESTIERE? Si diciamo che ho sempre lavorato nel teatro, mi sono diplomato nell’accademia nel 1983, e già dal’ ’84 lavoravo per il teatro, poi ho fatto il docente, venendo da una famiglia di insegnanti, quel lavoro mi piaceva, ma toglieva troppo tempo, e bisognava fare una scelta, e la mia formazione era più teatrale.
SCEGLIERE LA STRADA DELLA DRAMMATURGIA E DUNQUE VIVERE DI QUESTO, TI FA SENTIRE PIÙ LIBERO, OPPURE NO? La scrittura ha un doppio taglio, da un lato ti obbliga, e da un lato ti regala la libertà, agisce sempre su questo doppio binario, quando arriva nasce dentro di te questo imperativo che ti impone di scrivere, dall’altro lato ti da la possibilità di esplorare, quindi chiaramente rappresenta un momento di grande libertà.
IL PROFESSIONISTA VIVE ECONOMICAMENTE DI QUELLO CHE FA, L’ARTISTA VIVE EMOTIVAMENTE DI QUELLO CHE FA, IL PROFESSIONISTA VENDE PRESTAZIONI, L’ARTISTA REGALA EMOZIONI, SEI D’ACCORDO CON QUESTO MIO PENSIERO? Ma perché no, si in linea di massima si, assolutamente si. L’artista non fa una prestazione, riesce a penetrare in altre sfere; se mi chiedono una consulenza, si, intervengo da professionista, però quando agisco come artista è differente, il registro i modi il linguaggio, è tutto differente.
LA SITUAZIONE ATTUALE DEL TEATRO A MESSINA LA CONOSCIAMO, PARLAMI INVECE DI TEMPI BELLI, A TUA MEMORIA, NON SO UN PERIODO FIORENTE SE MAI C’È STATO, UN DIRETTORE ARTISTICO CHE HA APPREZZATO? Quando io ho iniziato a lavorare, quindi parliamo del 1984, devo dire che c’era un bel fermento a Messina, ricordo appunto Giuseppe Luciani, Maurizio Marchetti, Donatella Venuti, Giovanni Moschella, allora aveva 18 anni ed iniziava a lavorare in Teatro, c’era una generazione anche con differenza di età che restituiva qualcosa di bello alla città. C’erano anche gli spazi: ricordo il Teatro Valli, il Teatro libero, insomma c’erano tante cose; poi la situazione è andata un po’ scemando, c’è stato un calo che non è servito all’ambiente Messinese. Per quanto riguarda i direttori artistici non mi sento di esprimere giudizi, c’è chi ha fatto bene e chi ha fatto male, ricordo per esempio l’anno in cui Maurizio Marchetti era direttore artistico il bellissimo progetto alla Laudamo, Universi Teatrali, che finalmente trovava una connessione fra Università e pubblico teatrale, un occhio attento quindi alla formazione, al rapporto diretto fra studenti e compagnie che arrivavano da tutta Italia, a rappresentare la nuova drammaturgia, questo progetto poi morì, non capisco per quale motivo, perché dobbiamo far morire le cose migliori che ci sono in questa città.
COSA RAPPRESENTA PER TE LA SALA LAUDAMO? Poteva essere sicuramente un grandissimo polo di esplorazione, di sperimentazione, però non si riesce a farla decollare: ovviamente ci sono motivi economici, ci sono motivi politici, ci sono anche motivi artistici, sono tante le concause che alla fine impediscono che questo luogo metta in atto il potenziale che in effetti ha.
È IMPORTANTE LA CRITICA PER UN ARTISTA? È NECESSARIA? Oggi secondo me è importante solo se la critica comincia a scendere dai piedistalli su cui si è arroccata, e comincia a dialogare con gli artisti. Ho visto critici nei festival e nei Teatri, essere completamente distanti dagli artisti, scrivere i loro pezzi, sbagliarli, e arrabbiarsi se qualcuno glielo fa notare. Allora io artista posso sbagliare uno spettacolo, lo metto in gioco, e tu critico non metti in gioco quello che a volte sbagli? Non è possibile. Oggi si richiede una connessione intima, ci vuole un dialogo; quante volte ho detto ai critici, quando vedete uno spettacolo e non lo capite, perché non è detto che il critico lo capisca, perché non andate a chiedere? La crescita avviene soltanto cosi.
È DUNQUE UTILE LA CRITICA? È utile nel momento in cui si pone come vero tramite tra pubblico e opera, ma se diventa, autoreferenziale, citazionista, se usa quel linguaggio misticheggiande e intellettualoide, il critichese, come lo chiamo io, ecco se usa quel linguaggio non è più critica ma è altro.
È ARRIVATO IL MOMENTO DI PARLARE DI DON’T CRY JOE, COSA VEDREMO IN QUESTO WEEK END AL TEATRO DEI TRE MESTIERI? Allora intanto il testo nasce dal ricordo del mio primo testo del 1989 che io ho perduto. Addirittura era scritto a penna… Stavo a Perugia e non avevo nemmeno la macchina da scrivere, quindi nel ’99 /2000 mettendo insieme un po’ i ricordi, feci una prima messa in scena e oggi ci ritorno intanto perché è nata questa nuova collaborazione con il Teatro dei tre mestieri, e poi perché avevo proprio il piacere di rifarlo.
È una riflessione sul Teatro, sullo spettacolo, sulla spettacolarizzazione, oggi credo sia importante, DON’T CRY JOE è una farsa, e vuole essere tale. Nel suo interno però poi, cela tutte le difficoltà di un Teatro che è diventato spettacolarizzazione di tutto, un teatro che spettacolarizza la cronaca, che spettacolarizza la psicologia… NO, il Teatro non funziona cosi: il Teatro funziona con altri registri e con altri linguaggi. Noi con questo spettacolo portiamo il pubblico su una soglia, fino a un limite, fino a quella domanda che impone al pubblico di chiedersi, ma che cosa ho visto? Lo spettacolo qual’èra realmente? Era quello che ci faceva ridere ma poi ci ha lasciati e ci ha abbandonati su questa soglia? Basta non ti dico altro, il resto bisogna vederlo.
In scena ci sono: Tino Calabro, Stefano Cutrupi e Cinzia Muscolino che hanno creato un bel trio ed io sono contento del lavoro che hanno fatto. Il titolo nasce da una canzone che si chiama appunto DON’T CRY JOE, cantata da Frank Sinatra e da altri interpreti americani.
foto: Carmine Prestipino