di Fra Giuseppe Maggiore – Dal Vangelo secondo Giovanni In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Tempo addietro ho conosciuto una persona che ormai è in pensione che nella sua vita ha avuto la grazia di fare carriera e di guadagnare anche tanto, nel lungo racconto della sua vita mi rivelò che quando fu preso per il lavoro che poi svolse per tantissimi anni non disse mai che al suo paese faceva il pastore e che era figlio di pastore, si vergognava…
Gesù non prova vergogna a identificarsi con una categoria che ai suoi tempi era messa ai margini. Io sono il Pastore buono è il titolo più disarmato e disarmante che Gesù abbia dato a se stesso.
Il testo originale traduce pastore bello. Una bellezza certamente non esteriore, ma che indica un cuore bello, grande. Indica una Persona che non ha paura del rischio perché la fede per chi la vive veramente non è uno status quo ma un esporsi, un lottare per tutelare i diritti dei più deboli, degli emarginati. Proprio come fa un pastore attento col suo gregge. Gesù è un pastore autentico, forte e combattivo che non scappa come fa il mercenario.
La bellezza di Gesù pastore bello sta nell’offrire il suo tempo, nel non domandare ma nel donare, nel non pretendere ma nel regalare, ma non per avere in cambio qualcosa e neppure non per ottenere dei vantaggi. Bello è ogni atto d’amore. Offrire la vita è molto di più che il semplice prendersi cura del gregge.
Quando Gesù dice io offro la vita, non si riferisce solamente a quel venerdì pomeriggio quando muore in croce, Lui continuamente, incessantemente dona vita. Dio oltre a essere Padre è anche Madre inteso al modo della vite che dà linfa al tralci, della sorgente che dà acqua viva. Linfa divina che ci fa vivere, che ci dona quotidianamente il Pane vero che dona speranza e forza.
Io offro la vita significa: vi consegno il mio modo di amare e di lottare, perché solo così potrete battere coloro che amano la morte, i lupi di oggi.
I pastori che sono principalmente i sacerdoti sono chiamati a fare “puzza di pecora” e non di naftalina. Un sacerdote non può appartenere ad una cerchia di persone ma deve essere di tutti, non deve starsene in parrocchia anche se è stracolma di fedeli, ma deve uscire, osservare e conoscere tutto il territorio parrocchiale. Deve “contaminarsi” nei luoghi considerati da una mentalità bigotta “luoghi di perdizione”. Ci sono giovani o adulti che aspettano che il loro prete li vada a cercare nei bar, nei pub, allo stadio, in piazza. Un prete che non ha il coraggio di stare in strada per paura del pettegolezzo che parte sempre dai più vicini alla parrocchia o al convento, ha sbagliato vocazione. Il prete non è chiamato solamente a celebrare un’infinità di Messe per incrementare il conto della comunità ( mi auguro solo quello) ma di far vivere e di vivere la Messa tra la gente nei luoghi più impervi dove ci sono le pecore impigliate nei rovi della violenza, della mafia, della droga, del vizio del gioco d’azzardo…
Il Pastore lotta per difendere le proprie pecore e le conosce una per una.
Questa domenica chiamata del Buon Pastore la Chiesa universale prega per le vocazioni sacerdotali, io voglio estendere questa preghiera a tutte le vocazioni. Mi piace pensare non solo ai sacerdoti ma anche ai religiosi e religiose, ma soprattutto penso a coloro che sono chiamati alla vocazione matrimoniale.
Come i consacrati anche chi si sposa è a capo di un piccolo gregge. Un papà e una mamma non sono chiamati a custodire i figli? A cercarli? A difenderli? A nutrirli? Non sono forse anche loro pastori?
Forse i politici sono esentati da questo ruolo? Anche loro sono chiamati ad una custodia, ad una protezione in maniera particole per i più deboli. Chi è davvero responsabile del ruolo che la comunità civile gli ha dato non cerca scuse e non addossa ad altri la propria incapacità di non saper governare. Credo che in ogni campo è importantissima la formazione ma ormai tutto è relativo, non conta più la conoscenza, lo studio, la cultura… tutto è dato all’improvvisazione.
Alla luce dei fatti di bullismo successi in questi giorni ai danni dei prof, ci accorgiamo che la vigilanza e la custodia e dei genitori forse è venuta meno e con loro è venuta meno la scuola ma anche la parrocchia, manca la capacità di saper gestire determinate situazioni. È come se no si avesse la capacità di fronteggiare le problematiche che il mondo giovanile presenta.
Nel nostro piccolo siamo tutti pastori e tutti gregge, siamo chiamati a custodirci gli uni gli altri. È come se ciascuno di noi ripetesse all’altro che ci viene affidato: tu sei importante per me. E io mi prenderò cura della tua felicità.
Ci sono i lupi, sì, ma non vinceranno. Forse sono più numerosi degli agnelli, ma non sono più forti. Perché gli agnelli vengono, ma non da soli, portano un pezzetto di Dio in sé, sono forti della sua forza, vivi della sua vita.