Li ha ingannati facendo leva su quel terribile dolore mai sopito. Quello che non ti fa accettare la realtà. Quello che ti fa credere di parlare al telefono con un figlio da anni scomparso perchè vittima di lupara bianca. Una storia dalla quale emerge tutta la cattiveria di chi ha usato questo dolore per guadagnare denaro.
Francesco Simone, 44 anni di Basicò, da oltre dieci anni ha escogitato una crudele truffa ai danni dei genitori di Domenico Pelleriti, scomparso e il cui corpo non è mai stato trovato. E su questa “assenza” del cadavere, ecco imbastire il peggiore degli inganni. Dire ai suoi genitori che lui vive al nord, chiedere ogni giorno denaro da mandare a questo figlio con il quale lui mantene il contatto, fino al più atroce degli inganni: telefonargli facendo credere di essere quel figlio amato, quella voce ormai sconosciuta ma che è una consolazione.
La vicenda è stata scoperta grazie ad una denuncia ai carabinieri di Montalbano Elicona, da parte di una “ex” di Francesco Simone, che aveva raccontato come Francesco Simone da oltre 10 anni intratteneva contatti, con cadenza giornaliera, con i genitori dello scomparso Domenico Pelleriti, cui aveva fatto credere che il figlio era dimorante al nord Italia e gli richiedeva del denaro da inviare al figlio per le cure mediche di cui necessitava ed aggiungeva che Simone, per convincere gli anziani a consegnargli il denaro, li ingannava simulando al telefono di essere il loro figlio camuffando la sua voce. Il 44enne poi si recava personalmente a ritirare il denaro presso l’abitazione dei due genitori, che puntualmente gli consegnavano convinti di aiutare loro figlio. Talvolta invece si faceva lasciare il denaro nella cassette della posta di una casa cantoniera.
Le investigazioni, immediatamente avviate dalla Stazione Carabinieri in sinergia con i militari della Compagnia Carabinieri di Barcellona P.G., svolte sotto la direzione del sostituto Procuratore della Repubblica dott.ssa Rita Barbieri, hanno permesso di fare luce su questa vicenda, all’apparenza paradossale, ma in realtà drammatica e di inusitata crudeltà il cui antefatto è fondamentale, per comprendere la portata del dramma vissuto dalle vittime e la tortura psicologica patita.
Nel luglio del 1993 Domenico Pelleriti, è stato vittima della c.d. “lupara bianca”, per mano della mafia barcellonese e, dopo la sua scomparsa, il corpo, trascorsi orami 25 anni, non è mai stato rinvenuto. Su questo delitto ha fatto luce recentemente l’indagine denominata “Gotha VI” svolta dai Carabinieri del Comando Provinciale e della Sezione del ROS di Messina che ha disvelato i contorni del delitto del giovane, anche attraverso le dichiarazioni autoaccusatorie di alcuni degli autori del grave fatto di sangue che hanno intrapreso il percorso di collaborazione con la giustizia permettendo di risalire ai mandanti, agli esecutori ed al movente dell’omicidio. Il giovane PELLERITI, pur non appartenendo alla criminalità organizzata, era coinvolto in un “giro” di ladri d’auto ed era sospettato di avere compiuto dei furti in danno di un esercizio di vendita di ceramiche che pagava “il pizzo” all’associazione mafiosa. I capi della “famiglia barcellonese” non potevano tollerare che la loro autorità venisse messa in discussione e, pertanto, intervenivano decidendo di assassinarlo personalmente, unitamente ad un altro giovane anch’egli sospettato di avere partecipato ai furti. Con l’aiuto di un complice del PELLERITI lo attiravano in un tranello con una banale scusa e dopo averlo fatto condurre in campagna, lo bloccavano e lo portavano in un casolare ove lo sottoponevano a torture fisiche con lo scopo di fargli confessare il furto di cui lo incolpavano senza che però egli ammettesse alcuna responsabilità e poi dopo averlo condotto all’interno della fossa che avevano scavato per lui lo assassinavano con due colpi di pistola al capo. Il cadavere veniva seppellito in un agrumeto ma le ricerche svolte, a distanza ormai di anni dal delitto, non hanno consentito di recuperare il corpo, anche in considerazione del fatto che quel terreno era stato in gran parte disboscato e spianato attraverso pesanti escavatori che potrebbero avere disperso i poveri resti.
Nel dramma della sparizione del figlio, vissuto dagli ormai anziani genitori della vittima si è inserito l’indagato il quale, per oltre un decennio, approfittando del dolore dei coniugi, ha messo in scena una teatrale tragedia, al fine di indurre gli anziani al pagamento costante di somme di denaro, facendo loro credere che il loro figlio scomparso fosse invece vivo e malato, ricoverato in un imprecisato luogo di cura e che dalle dazioni di denaro dei genitori dipendesse la sua sopravvivenza.
L’indagine, avviata a seguito delle dichiarazioni ricevute dai Carabinieri di Montalbano Elicona, ha permesso di acclarare le continue ed asfissianti richieste di denaro avanzate dall’indagato, che ha fatto credere agli anziani coniugi, attraverso artifizi e raggiri ma anche con minacce e violenze psichiche nei loro confronti, che il loro figlio fosse realmente in pericolo di vita e che, solo grazie al denaro fornito dai familiari ed alla sua intercessione, lo stesso avrebbe ricevuto le cure salvavita. Egli ha di fatto annullato psicologicamente la coppia, facendogli vivere, con una cattiveria inusitata, un clima di paura, intimidazione e sofferenza e approfittando dei loro sentimenti materni li ha raggirati. I genitori dello scomparso, vivendo uno stato emotivo straziante, da parte loro hanno “realmente” creduto che il loro figlio fosse vivo ed in pericolo e che la sua incolumità dipendesse esclusivamente dalle loro dazioni di denaro che fornivano attraverso l’indagato. Temevano che l’interruzione del rapporto con il Francesco Simone avrebbe causato, come conseguenza, l’interruzione del rapporto con il figlio Domenico il quale non solo era molto malato ma era anche in fuga dalla vendetta della mafia e, pertanto, per salvarlo hanno dilapidato, negli anni, ogni loro risorsa economica.
Nell’arco di soli 15 giorni le investigazioni hanno permesso di riscontrare quanto denunciato ed hanno documentato ben 11 consegne di denaro all’indagato – dell’ordine di 50 o 100 euro ciascuna – denaro fornito proprio dai pochi guadagni dei genitori ottantenni del PELLERITI e da quelli della zia (86 enne), sorella della madre, tutti e tre titolari di una magra pensione da bracciante agricolo. Le consegne di denaro, proprio come nel racconto della donna, sono avvenute per la maggior parte dei casi davanti l’abitazione dei coniugi, ove l’arrestato, transitando a bordo della sua autovettura, li recuperava direttamente abbassando il finestrino dell’auto. In altre occasioni, invece, l’indagato, nel timore di essere seguito dalle Forze di Polizia, faceva nascondere ai coniugi il denaro all’interno di una cassetta postale della casa cantoniera nei pressi di un’abitazione a lui in uso.
Si è inoltre verificato come i coniugi PELLERITI, che vivono esclusivamente della loro pensione di braccianti agricoli, versino ormai da anni in situazione economica drammatica, essendo stati spogliati di ogni loro bene e denaro, tanto che gli stessi si sono disfatti anche di un immobile ed alcuni terreni e successivamente, in preda alla disperazione, sono stati costretti a contrarre debiti per aderire alle richieste del SIMONE, il quale nel corso degli anni gli ha sottratto oltre 200mila euro. I malcapitati nella spasmodica ricerca di denaro per soddisfare le pretese del truffatore sono arrivati addirittura a considerare l’idea di rubare i risparmi della nipote, figlia dello scomparso.
In numerose occasioni, il SIMONE, dopo aver ricevuto un diniego alla consegna del denaro da parte della coppia, perché ormai depauperata ed impossibilitata a fornire nell’immediatezza anche una pur minima somma di denaro, pur di giungere al suo scopo, telefonava agli anziani e simulava, camuffando la voce, di essere il loro figlio Domenico malato terminale ed in fin di vita manifestando la necessità di ottenere il denaro richiesto dal SIMONE, il quale era il solo che avrebbe potuto provvedere a recapitarlo ai sanitari che lo assistevano. Attraverso questa vessazione SIMONE avvalorava ulteriormente il suo ruolo di indispensabile tramite agli occhi delle succubi vittime sempre indotte a credere che la mancata corresponsione delle somme richieste potesse cagionare la morte immediata del figlio per via dell’interruzione della somministrazione dei farmaci.
Fortunatamente le indagini dei Carabinieri ed il provvedimento cautelare dell’Autorità giudiziaria ha messo fine ad questo bieco caso di truffa in cui l’indagato si è per anni “cibato” della tragedia incommensurabile della famiglia PELLERITI cui la Procura della Repubblica di Barcellona P.G. ha voluto offrire ausilio e sostegno psicologico attraverso la nomina di un consulente tecnico.
L’ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal G.I.P. del Tribunale di Barcellona P.G. su richiesta della locale Procura della Repubblica guidata dal Procuratore Capo Emanuele Crescenti è stata eseguita dai Carabinieri della Comando Provinciale di Messina.